
Cento anni e non bastano
di Rosy BindiL'8 marzo festeggia cento anni ma questo anniversario è tutt'altro che datato. È una giornata ancora molto speciale. Insieme al ricordo delle operaie di New York che morirono bruciate nella fabbrica in cui protestavano contro le inumane condizioni di lavoro c'è la consapevolezza dei diritti e del ruolo che abbiamo conquistato e della strada da fare per affermare una effettiva parità con gli uomini.
Il lavoro, come cento anni fa, resta un banco di prova decisivo. La piena occupazione femminile è ancora un traguardo lontano e la crisi economica rende tutto molto più difficile. Le donne, è dimostrato, pagano sempre i prezzi più alti. Quando c'è, il lavoro è spesso sottopagato e precario, comunque mal conciliato con la vita e la famiglia e soprattutto un lavoro negato. Si fa fatica a premiare i meriti e le competenze delle donne, le carriere sono percorsi ad ostacoli, è ancora difficile riconoscere ad una donna poteri e responsabilità. In questo contesto lavorare bene, con le giuste soddisfazioni, diventa un privilegio anziché un diritto.
In questi decenni molte donne hanno conquistato posizioni rilevanti ma resta impressionante lo scarto con la stragrande maggioranza di coloro che restano confinate in ruoli subalterni o marginali. In particolare per le giovani generazioni, per le ragazze che si affacciano adesso sul mercato del lavoro, spesso più autonome e preparate dei coetanei maschi. Giocare alla pari sul mercato del lavoro è davvero difficile.
Ma non c'è solo la sfida per il lavoro. C'è anche una battaglia culturale inedita e complessa. La sfida della parità e dell'uguaglianza oggi incrocia la nuova realtà multietnica e multiculturale dell'Italia. Forti della nostra esperienza sappiamo bene che non c'è emancipazione senza liberazione e non c'è vera libertà se non si riconoscono le differenze. L'integrazione delle donne straniere non può esser un percorso di omologazione ai riti e ai miti della cultura occidentale. Non può risolversi in una serie di divieti o imposizioni, in una nuova violenza culturale. Non c'è alcuna superiorità da affermare se non il primato dei diritti fondamentali della persona. Ma allora l'integrazione può e deve diventare un cammino comune di libera scelta e di autonomia da condividere insieme, italiane e straniere, a partire dai diritti negati a tutte le donne.
La nostra è una società bloccata anche perché è una società ancora troppo maschilista. È tornato alla luce, con inedita aggressività, un uso distorto e strumentale delle donne che nega alla radice la nostra autonomia e la nostra dignità. È una versione peggiore della vecchia immagine ancillare perché si serve delle donne non solo come un mezzo di seduzione ma di corruzione, come una nuova arma di esercizio del potere maschile. Una grande mistificazione in cui la ricchezza dell'universo femminile è banalizzata, mortificata, ridotta ad una sola dimensione.
Questa nuova forma subalternità, che il berlusconismo incoraggia e promuove, è solo in apparenza meno violenta del passato e tradisce un modello altrettanto umiliante e profondamente antifemminile. Le donne vogliono ritrovare parola e iniziativa, non si vogliono compiangere né rassegnare. La politica deve quindi essere all'altezza del coraggio e della forza femminili. Anche la politica delle donne che dalle donne ha ancora tanto da imparare.
Ringrazio il Presidente Napolitano che nella celebrazione di oggi al Quirinale ha sottolineato, come condizione e premessa di ogni nostra conquista, il rispetto della nostra dignità di donne.


Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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