
Complotto dei poteri forti. Prove di colpo di Stato. Tentativo di sovvertire la volontà popolare. Attentato al governo, congiura, imbroglio, golpe. Sono gli umori di questi giorni del centrodestra italiano, o perlomeno delle sue voci pubbliche, portavoce e giornali, capigruppo e opinionisti, personale politico e personale aziendale. Specialmente dopo la sentenza civile sul Lodo Mondadori. Con eccezioni sparute e silenzi significativi, quasi tutti riconducibili all'eresia finiana. E con una confusione oramai totale, inestricabile, tra patrimonio personale e patrimonio politico del Capo. Tra l'avventura di un singolo italiano e il destino della destra e della Nazione.
A meno di nutrire un pregiudizio radicale sugli uomini e le istanze che rappresentano quella metà del Paese, c'è da rimanere sgomenti. Non un dubbio, non un solo accenno di riflessione su metodi e fini di Silvio Berlusconi. Fino al paradosso di pubblicare resoconti onesti da parte dei cronisti giudiziari (vedi il Giornale), nei quali ovviamente si fa risalire la condanna civile di Fininvest alla corruzione, acclarata in sede penale, di un magistrato; ma non tenerne conto nei commenti e nelle dichiarazioni.
Mai i fatti erano stati così separati dalle opinioni. Né queste ultime, in toto, possono essere fatte risalire solo all'appartenenza aziendale di chi le esprime: le spiegazioni meschine non bastano mai a descrivere e comprendere quel complicato tumulto di passioni e interessi che è la lotta politica. Un padrone si può anche cambiare, un capo assoluto si segue fino al trionfo oppure (più spesso) alla catastrofe. Chi accusa Berlusconi di essersi comperato mezza Italia non ha valutato abbastanza la devozione gratuita e disinteressata con la quale i popoli a volte seguono i loro seduttori.
Se ne deve dedurre, provando a ragionare, che il centrodestra italiano è prigioniero di Berlusconi al punto da non sapere che cosa, come e con chi proseguire il suo cammino quando la parabola del Capo avrà fine. Ne è prigioniero con una devozione talmente disperata da non avere trovato il tempo, in tutti questi anni, nemmeno di fare i conti con il suo antico tracciato etico-culturale, fondato su Legge e Ordine. Al punto che Montanelli, Ambrosoli e Borsellino, che riposano nell'ala destra del pantheon nazionale, ricevono visita, e menzione, e memoria, soprattutto dal fronte opposto.
È come se non fosse mai esistita una destra prima, come se non dovesse esistere dopo. Come se tutto si giocasse in una sola partita, questa. Quella del folle, ipernarciso "con me o contro di me" che ha azzerato le identità politiche di questo Paese al punto che proprio la destra, a dispetto della sua tradizione legalitaria, non è in grado non dico di ammettere, ma neppure di sospettare che almeno qualche pezzo del gigantesco edificio di accuse contro il suo Capo possa avere qualche liceità, qualche verosimiglianza. Che un'ombra di indegnità, effettivamente, possa gravare su un premier che prometteva candidature alle sue giovani amiche (prima fonte della notizia, però compiacendosene, fu Libero) ed è accusato di avere acquisito parte del suo patrimonio editoriale con mezzi illeciti.
Dopo lunghi anni nei quali la crisi della sinistra, con la sua logorrea, il suo diluvio insopportabile di auto-analisi, le sue liti piccine, il suo tracollo culturale, ha tenuto banco, forse è ora di accorgersi che un problema almeno altrettanto grande, e grave, è la non-crisi della destra. La sua compattezza tetragona e certamente masochista, i suoi clubbini e circoletti ridicolmente nominati "Per fortuna che Silvio c'è" e "Silvio ci manchi" (i sorcini ai concerti vanno benissimo, ma il sorcinismo in politica è francamente penoso), il suo abbandono confidente e puerile alle parole e alle gesta del Capo, semplicemente non sono sane. Non lo sono oggettivamente, non lo sono perché strozzano il dibattito, la crescita delle persone, l´abitudine alla dialettica.
Una destra che non discute con l'opposizione può anche giustificarsi con il clima di contrapposti livori, e di reciproche delegittimazioni. Ma una destra che non discute di se stessa, e con se stessa, che si manifesta solo con il coro stizzoso e poveraccio dei portavoce, con i titoloni apodittici e astiosi, con le falsità strumentali degli avvocati, con l'odio cieco per "i signori della sinistra", con la certezza che il Capo abbia sempre ragione e solo una malefica congiura plutocratico-borghese possa disarcionarlo, è una destra perfino più malconcia della sinistra. Se l'antiberlusconismo ossessivo fa male alla sinistra, il berlusconismo ha già ammazzato la destra: e non è che se ne parli tanto. I consigli esterni sono sempre sgraditi, e anche sgradevoli da fare: ma se per esempio la piantassero di chiamarlo "Silvio", e cominciassero a chiamarlo Berlusconi, parrebbe di cogliere un piccolo segnale di rinsavimento.

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Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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