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10 Luglio 2008

Un macigno sulla strada del dialogo

di Rosy Bindi



Sotto l’urgenza dei problemi giudiziari del presidente del Consiglio, il governo scavalca la Costituzione, mortifica il Parlamento e con la forza dei numeri impone l’approvazione di un provvedimento che non ha precedenti in alcun sistema democratico parlamentare come il nostro.

Un provvedimento che per sospendere un processo a carico di Silvio Berlusconi prefigura un sistema abnorme di impunità, in modo peraltro pasticciato, per le più alte cariche dello Stato. Si dice che occorre mettere fine all’emergenza giustizia e chiudere una presunta anomalia italiana nel rapporto tra magistratura e politica.

Il salva processi e il Lodo Alfano, che sono indissolubilmente legati, non avrebbero alcuna attinenza con il processo in corso a Milano, perché, afferma l’on. Ghedini, l’on. Berlusconi non se ne avvarrà, perchè si risolverà con l’assoluzione del premier. Ma allora a che serve? 

La risposta dell’avvocato difensore del premier è a dir poco inquietante: “I processi si devono sospendere per il bene del paese e non di Berlusconi”. Il lodo serve insomma a “governare con serenità” e, ha ripetuto l’on. Pecorella, assicurare la stabilità politica che da troppo tempo manca all’Italia.

Ma si può fare il bene dell’Italia se la giustizia non è al servizio di tutti, se la legge non è uguale per tutti, se la serenità di chi governa è affidata ai suoi privilegi e alla sua immunità anziché alla sua retta coscienza? E’ come dire che la legittimazione del popolo sospende il valore della legalità e solleva chi detiene il potere dal rispetto della legge.

Il nostro presidente del Consiglio ci ha detto oggi: la legge la faccio io. C’è chi ha parlato di “sultanato”. A me è venuto in mente il Leviatano di Hobbes in cui si dice che il sovrano per essere libero di governare  non può essere sottoposto neppure alla legge. Ma quello era il tempo dell’assolutismo non era il tempo dello Stato di diritto e delle liberaldemocrazie.

E mi è tornato alla mente anche un dialogo pubblico, a Monaco di Baviera, tra il filosofo Habermas e l’allora cardinale Ratzinger su “I fondamenti morali prepolitici dello Stato liberale”. In quel dialogo il futuro pontefice affermava: “E’ compito della politica sottomettere il potere al criterio del diritto e in tal modo ordinarne l’uso sensato”. E aggiungeva che se il diritto non appare come “espressione di una giustizia che sia al servizio di tutti ma come prodotto di un arbitrio, di una pretesa di essere nel diritto solo perchè si detiene il potere su di esso” è inevitabile alimentare nei cittadini “il sospetto verso il diritto e la legalità” e minare l’autorevolezza e la dignità della politica.

Si è ripetuto più volte, che la dignità della politica sarebbe compromessa da un cattivo rapporto tra politica e magistratura. Anch’io vorrei affrontare questo rapporto. Ma vorrei che fosse la politica a fare il primo passo. Solo una politica capace di essere trasparente, libera e autorevole è in grado di porre seriamente questo problema.

La moralità, pubblica e privata, di chi fa politica non può essere sfiorata dai dubbi o dai sospetti. E’ uno dei requisiti essenziali per l’esercizio di ogni responsabilità istituzionale. E la politica che pretende autonomia dalla magistratura deve dimostrare di essere autonoma e libera da tutti gli altri poteri, soprattutto da quello economico-finanziario e da quello degli affari.

La norma salva processi e questo provvedimento dimostrano invece che la politica anziché riformare se stessa altera gli equilibri delle istituzioni, travolge il diritto e piega il principio di legalità agli interessi personali del presidente del Consiglio.

Tutti, avete affermato, saremmo stati vittima di un cattivo rapporto tra magistratura e politica. E’ vero, il governo Prodi è caduto per l’intervento di un pubblico ministero. Ma il ministro Mastella si è dimesso e non abbiamo fatto una legge per salvare quel governo da quel pubblico ministero.

E anche se volessimo andare indietro nel tempo, potremmo ricordare l’articolo 68 della Costituzione, che è stato tolto da un Parlamento di cui non facevo parte. Di quel parlamento faceva parte una classe politica da cui ho preso più volte le distanze. Ma quella classe politica ha pagato duramente e non è giusto che sia stata sostituita da chi dopo 15 anni continua a tenere ingombrato il Paese dai suoi interessi personali.

In questi giorni, abbiamo preso tutti le distanze dalla piazza. Ma io non sono solo preoccupata dall’uso smodato delle piazze, sono anche preoccupata dall’indifferenza. Sono preoccupata da un Paese che ha tanti problemi che il governo si ostina a non risolvere e che per questo non ha neppure la libertà di comprendere che vulnus viene portato alla democrazia italiana.  

Nessuno scambi il nostro senso di responsabilità, la nostra disponibilità al dialogo, perché questa ha un alto prezzo e non è gratuita. Ed io mi chiedo se può esserci dialogo con chi è gravato da un gigantesco conflitto di interesse e ha preteso e ottenuto di dettare leggi su misura e garantirsi immunità. Non so se questo macigno potrà essere tolto dalla strada del dialogo.

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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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