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22/7/2015

Mafia capitale, le comunicazioni in Commissione Antimafia della presidente Bindi


Commissione d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Mercoledì 22 luglio 2015 - ore 20

 

L'ordine del giorno reca le comunicazioni della Presidente sulla vicenda nota come mafia capitale.

Ritengo infatti opportuno svolgere una riflessione in seno alla Commissione plenaria sui possibili sviluppi del filone di inchiesta dedicato alla "Mafia Capitale", cui la Commissione ha dedicato ampia attenzione sin dal disvelamento del grave fenomeno criminale, a dicembre 2014, fino ad oggi, svolgendo con grande tempestività numerose audizioni (Alemanno, Marino, Pignatone, Prestipino, Pecoraro, Magno, Lusetti) e acquisendo un'ampia mole di documentazione giudiziaria e amministrativa presso la Procura della Repubblica di Roma, il Comune di Roma Capitale e la Prefettura di Roma. Al riguardo, un sentito ringraziamento per la leale e reciproca collaborazione prestata va rivolto a tutte le istituzioni citate, e in particolare al Prefetto di Roma, che ha trasmesso la propria relazione, unitamente a quella della Commissione di accesso al comune di Roma, immediatamente dopo la presentazione al Ministro dell'Interno, mentre ancora pende, come noto, l'iter previsto dall'articolo 143 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, cd. "TUEL") in merito alla paventata ipotesi di scioglimento dell'ente locale per infiltrazione mafiosa. Naturalmente, la medesima collaborazione è stata fornita dalla nostra Commissione, che sta esercitando le proprie funzioni di inchiesta nel più scrupoloso rispetto delle forme e dei modi previsti dalla legge istitutiva, a cominciare dalla garanzia del mantenimento del segreto, ove apposto, sugli atti acquisiti.

Ciò premesso, le presenti comunicazioni sono volte ad offrire alla Commissione anzitutto le coordinate di metodo e poi alcuni spunti di merito per la prosecuzione dell'attività di inchiesta, su cui auspico che possa poi esserci un dibattito tra le forze politiche presenti in Commissione.

In ciò mi riallaccio anzitutto a quanto affermato, a nome del Governo, dal Ministro della Giustizia, on. Andrea Orlando, all'Assemblea della Camera dei deputati nella seduta dello scorso 25 giugno, recante all'ordine del giorno la "informativa urgente del Governo sulle vicende note come ‘mafia capitale'", e al dibattito che ne è seguito in Aula. Il Ministro ha infatti premesso al suo intervento che:

"È, tuttavia, evidente come una valutazione complessiva della vicenda imponga, già oggi, una profonda riflessione del Parlamento e di tutte le forze politiche in esso rappresentate, non solo su quanto è emerso rispetto ai fatti delittuosi come commessi nella capitale, ma anche, più in generale, sull'evoluzione, nel Paese, dei fenomeni corruttivi e sulle prospettive di più efficace contrasto rese possibili dal progressivo arricchimento degli strumenti di prevenzione e di repressione".

A tale riguardo, è appena il caso di ricordare che la stessa legge istitutiva assegna chiaramente alla nostra Commissione di inchiesta il compito di "svolgere il monitoraggio sui tentativi di condizionamento e di infiltrazione mafiosa negli enti locali e proporre misure idonee a prevenire e a contrastare tali fenomeni, verificando l'efficacia delle disposizioni vigenti in materia, anche con riguardo alla normativa concernente lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e la rimozione degli amministratori locali" (art.1, comma 1, lett. n), nonché i compiti di "accertare la congruità della normativa vigente e della conseguente azione dei pubblici poteri, formulando le proposte di carattere normativo e amministrativo ritenute opportune per rendere più coordinata e incisiva l'iniziativa dello Stato, delle regioni e degli enti locali" (art.1, comma 1, lett. d) e di "accertare e valutare la natura e le caratteristiche dei mutamenti e delle trasformazioni del fenomeno mafioso e di tutte le sue connessioni, comprese quelle istituzionali, con particolare riguardo agli insediamenti stabilmente esistenti nelle regioni diverse da quelle di tradizionale inserimento e comunque caratterizzate da forte sviluppo dell'economia produttiva" (art.1, comma 1, lett. e).

Ho accennato in premessa all'esigenza di individuare in prima battuta delle "coordinate di metodo" per il prosieguo del nostro lavoro, in modo da evitare fraintendimenti o strumentalizzazioni di una funzione costituzionale, quale quella di inchiesta, che non può che svolgersi - sempre - nel massimo rispetto di tutti gli interlocutori istituzionali in campo e delle loro prerogative.

Da un lato sono infatti ancora in corso le indagini giudiziarie, e a breve si avvierà la celebrazione dei processi.

Dall'altro è ancora pendente, come ben noto, il procedimento previsto dall'articolo 143 del TUEL in merito allo "Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare", e siamo in attesa delle determinazioni al riguardo del Ministro dell'Interno ai fini della proposta che gli compete avanzare al Consiglio dei Ministri in base all'art. 143, commi da 4 a 7, del TUEL.

Di conseguenza, la riflessione che si propone in questa sede parlamentare, e che la stessa Presidente della Camera ha definito "giusta e opportuna" in una dichiarazione di oggi alla stampa, non può assolutamente essere volta a ripercorrere l'iter amministrativo - fatto di documenti segreti - e le valutazioni che competono esclusivamente agli organi del Governo, e che possono sfociare, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione prefettizia al Ministro dell'Interno come prevede la legge, nella deliberazione del Consiglio dei Ministri.

Desidero infatti sgomberare il campo da alcuni timori che mi sono stati espressi anche oggi da alcuni membri dell'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, in ordine al possibile rischio di interferenze con l'attività del Governo.

Ciò che qui si intende sottoporre alla valutazione e poi al dibattito della Commissione di inchiesta è invece tutt'altro, e può costituire l'avvio di una relazione che invieremo al Parlamento.

Si tratta, infatti, di alcune considerazioni di ordine più generale sul fenomeno dell'infiltrazione mafiosa negli enti locali, che è veicolata soprattutto dalla corruzione e comunque dal malaffare, spesso diffuso a molti livelli politico-amministrativi locali, soprattutto al Meridione.

Ma il caso della "Mafia Capitale"- per come è stata disvelata dalle indagini della Procura di Roma e descritta nelle sue caratteristiche con termini ancor più pesanti nelle recenti sentenze in materia cautelare della Corte di Cassazione - pone soprattutto un problema di verifica dell'adeguatezza degli strumenti di prevenzione e contrasto, specialmente per l'individuazione di nuove e più efficienti forme di rapporto tra Stato e enti locali.

In particolare, è ormai indifferibile un aggiornamento della normativa vigente in materia di scioglimento per infiltrazione mafiosa.

Quella legge fu pensata per intervenire, in forma sostanzialmente sanzionatoria, nei casi di realtà amministrative locali tipicamente di piccole dimensioni e collocate nelle regioni di tradizionale insediamento delle organizzazioni criminali mafiose. I primi casi di applicazione della nuova legge, nell'ormai lontano agosto del 1991, riguardarono infatti comuni del Sud di poche migliaia di abitanti, a partire da Casandrino (NA) e Taurianova (RC), e prima ancora dell'entrata in vigore della legge, da Bovalino e Limbadi, in Calabria.

Da allora abbiamo assistito, soprattutto negli anni più recenti, ad una vera e propria escalation anzitutto in termini di coinvolgimento e infiltrazioni in comuni in regioni tradizionalmente ritenute immuni, come il Piemonte (Bardonecchia, 1995; Leinì, 2012; Rivarolo Canavese, 2012), la Liguria (Bordighera, 2011, poi annullato; Ventimiglia, 2012) e la Lombardia (Sedriano, 2013), mentre purtroppo già si intravedono nuovi scenari territoriali, come quelli posti dall'inchiesta Aemilia che, lo scorso mese di giugno, hanno indotto il prefetto di Reggio Emilia ad inviare una commissione di accesso al comune di Brescello (RE), oppure gli altri quattro comuni della provincia di Roma (Sacrofano, Castelnuovo di Porto, Morlupo e Sant'Oreste) cui è stato disposto l'accesso a seguito dell'inchiesta Terra di mezzo.

Inoltre, è cresciuta la rilevanza in termini di popolazione degli enti sciolti, arrivati progressivamente, negli ultimi tre anni, a comuni con decine di migliaia di abitanti: tra i tanti, Augusta (SR, 33.000 ab.), sciolto nel 2013; Quarto (NA, 36.000 ab.) sciolto nel 2013; Battipaglia (SA, 50.000 ab.), sciolto nel 2014; fino al picco di Giugliano (NA), sciolto nel 2013, che ha quasi 100.000 abitanti.

Anche la rilevanza amministrativa dei comuni sciolti è cresciuta, e nel 2012 si è purtroppo arrivati a sciogliere per infiltrazioni mafiose la prima volta un capoluogo di provincia importante come Reggio Calabria, comune di 180.000 abitanti. Solo lo scorso anno, dopo la proroga dello scioglimento, il comune è tornato a libere elezioni dopo un periodo di amministrazione affidata a una Commissione prefettizia, tra luci e ombre che la stessa Commissione Antimafia ha potuto rilevare direttamente in occasione delle ripetute visite lì svolte durante il commissariamento.

Infine, attendiamo in questi giorni, dopo l'istituzione della Commissione di accesso nel dicembre 2014, le decisioni del Governo sul comune di Roma, la Capitale della Repubblica.

Roma è anche il comune più esteso territorialmente e il più popoloso d'Italia, con quasi tre milioni di abitanti, oltre ad essere una delle più importanti città d'Europa.

Se il fenomeno ha raggiunto tali dimensioni, è evidente che l'alternativa tra scioglimento o non scioglimento è assolutamente inappagante per far fronte alle esigenze di governo di una comunità di milioni di cittadini. Né del resto l'eventuale scioglimento sic et simpliciter di una Assemblea elettiva potrebbe essere ritenuto soddisfacente per gli effetti sostanzialmente punitivi, anche per i cittadini, che genera la "misura dissolutoria" - come si dice nel lessico amministrativo - e che tuttavia non può tradursi, in caso di non scioglimento, in una "misura assolutoria" della classe politica e soprattutto amministrativa in genere, che con i suoi comportamenti opachi ha comunque configurato quantomeno i presupposti per l'accesso al Comune, al di là delle responsabilità penali personali che accerterà la magistratura.

La situazione è senza dubbio gravissima, se anche un Comune grande e importante - il più grande del Paese - come quello di Roma si è rivelato fragile e indifeso nei confronti di quella che è una "piccola mafia", originale e originaria come ci ha insegnato il Procuratore Pignatone, ma priva della "tradizione egemonica" e del radicamento profondo sul territorio come nelle piccole realtà del Meridione. Tuttavia, un sodalizio criminale tutto sommato recente, pur senza controllare parti del territorio come le mafie "classiche", ha potuto comunque occupare rilevanti spazi politici e amministrativi, condizionando pesantemente il processo di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi, come ha affermato da ultimo, proprio oggi, il tribunale del Riesame di Roma in un'ordinanza su un'altra tranche dell'inchiesta Terra di mezzo.

E' importante dunque anzitutto intervenire sulle norme in materia di scioglimento, alla luce di un'esigenza che ha avvertito lo stesso Governo presentando un proprio disegno di legge (AS 1687), che attualmente pende al Senato in attesa di approvazione.

Auspico pertanto una rapida approvazione delle misure ivi contenute, che però rappresenta solo un primo perfezionamento della normativa relativa alla sola fase successiva allo scioglimento.

In estrema sintesi, il disegno di legge prevede:

 

-     l'obbligo per gli enti locali sciolti di avvalersi della stazione unica appaltante per lo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica, pena la nullità dei contratti conclusi dall'ente locale in violazione dell'obbligo di avvalimento;

-     incandidabilità per la durata di 6 anni e per tutte le elezioni amministrative (art.143);

-     specializzazione dei membri della commissione straordinaria che, nel caso di comuni con più di 15.000 abitanti, svolgono le funzioni commissariali in via esclusiva ed affiancamento, a livello centrale presso il Ministero dell'Interno, da parte di una struttura di sostegno e monitoraggio della sua azione (art. 144 TUEL);

-     mobilità obbligatoria presso altro ente o licenziamento del dipendente stesso anche ove non sia disposto lo scioglimento, misure che si aggiungono a quelle già esistenti ex art. 145 TUEL, (sospensione dall'impiego, destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare);

-     ripensamento dell'attività di gestione straordinaria dell'ente svolta dalla commissione straordinaria finalizzandola, oltre ché alla ordinaria amministrazione, al ripristino della legalità compromessa (art. 145 TUEL);

-     ampliamento del novero degli enti nei cui confronti possono essere effettuati i controlli sulle infiltrazioni mafiose (con esplicita previsione delle società partecipate o dei consorzi pubblici, anche a partecipazione privata).

Va però colta la situazione di oggettiva straordinarietà, per dimensioni e rilevanza, della situazione del comune di Roma Capitale. Prima che essa diventi cronica e prima che si stabiliscano precedenti in grado di condizionare i casi futuri, occorrerebbe adottare rimedi anch'essi di natura straordinaria come potrebbe essere ad esempio anche un decreto-legge del Governo che, traendo spunto dal caso romano, possa rappresentare l'occasione per adeguare la normativa attuale alle nuove e più complesse forme di manifestazioni del fenomeno.

Un simile provvedimento d'urgenza potrebbe infatti farsi carico di introdurre nell'ordinamento - oltre alle misure post scioglimento sopra elencate - anche altri strumenti ad hoc per affrontare le difficoltà della gestione di comuni più grandi, che non siano da sciogliere, ma per i quali vi siano comunque elementi che individuino collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare.

Occorre pertanto individuare una terza via che vada oltre la semplice dicotomia tra "scioglimento o non scioglimento", strumenti che rischiano di essere rozzi rispetto alla complessità del problema. Tale terza via potrebbe consistere in una forma di "tutoraggio" o assistenza dello Stato, quale ente esponenziale della comunità nazionale, rispetto all'ente espressione della comunità locale, senza che questa debba essere necessariamente commissariato e affidato all'amministrazione temporanea di funzionari dello Stato. Nel rispetto dell'autonomia del comune o dell'ente locale, si può provare ad immaginare una forma di accompagnamento temporaneo verso il ripristino della legalità e dell'efficienza dell'Amministrazione, un processo di rafforzamento continuo, che non privi il comune di una guida politica ma che anzi la rafforzi, sia agli occhi dei cittadini sia a quelli del corpo amministrativo, troppo spesso concausa della "mala gestio" dell'ente. In questo, in via di analogia, potrebbe soccorrere la discussione già svolta in Commissione in sede di approvazione delle relazioni sui beni confiscati e sulla modifica del Codice antimafia, nelle parti relative all'amministrazione giudiziaria dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità. Alcuni spunti di riflessione ivi presenti in tema di ruolo dello Stato e degli organi di Giustizia per la riconduzione alla legalità dell'"impresa mafiosa", potrebbero in via generale essere utilmente sfruttati per l'elaborazione di misure amministrative, affidate allo Stato e agli Uffici territoriali del Governo, di riconduzione alla legalità di un'"amministrazione comunale mafiosa" o semplicemente infiltrata, anche in parte, mediante anzitutto la riorganizzazione dell'Ente, la riduzione dei centri di spesa e il rafforzamento delle funzioni di controllo interno ed esterno.

 

Non si può infine non richiamare tutta la classe politica, come già fatto in occasione della relazione sul codice di autoregolamentazione sulle liste elettorali, a una forma di autocritica, specialmente al proprio interno, in ordine al rafforzamento della dimensione etica della partecipazione all'attività politica, anche attraverso l'approvazione di legge di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione sui partiti politici e di una legge sulla regolamentazione delle lobbies.

Inoltre, la responsabilità nei confronti dei cittadini e degli elettori da parte di chi ricopre cariche politiche comporta necessariamente lo svolgimento di una funzione di guida e controllo delle amministrazioni sia attraverso l'adozione trasparente di opportune misure organizzative sia, laddove necessario, di denuncia e collaborazione con l'Autorità giudiziaria.

Ritengo pertanto necessario che la Commissione prosegua su questo filone di inchiesta, procedendo alle audizioni del prefetto Gabrielli,  di esponenti della classe politica e partitica locale, del mondo delle cooperative e dei responsabili della gestione degli appalti del comune di Roma e non solo.

Nel riservarmi di presentare una proposta a tal fine, sottopongo pertanto ai colleghi l'opportunità di svolgere una discussione generale su queste mie comunicazioni in una prossima seduta, così come convenuto nella riunione odierna dell'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi.




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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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