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19/6/2015

Svolta Capitale
di Marco Damilano - da l'Espresso


Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, elenca le audizioni su Mafia Capitale: la Procura di Roma, Gianni Alemanno e Ignazio Marino, il presidente della Lega cooperative... «Andremo a sentire Salvatore Buzzi. E ascolteremo i partiti, a cominciare dal Pd che non si è sottratto alle sue responsabilità». Per la Bindi l'inchiesta è la fotografia di una politica vecchia e nuova permeabile alle mafie. E richiede una risposta di sistema.

C'è la mafia a Roma? O era ordinaria corruzione? 

«La Cassazione ha riconosciuto la possibilità di applicare agli indagati l'articolo 416 bis. E io non ho nessun dubbio che ci troviamo di fronte a un metodo mafioso: l'intimidazione e il controllo del territorio, inteso come pezzi della città, il verde pubblico, gli immigrati, i servizi sociali su cui si afferma un potere. E poi c'è il rapporto con la politica e con l'amministrazione. Buzzi, e ancor più Luca Odevaine, sono espressione dei nuovi metodi con cui la criminalità si infiltra nelle istituzioni. Sono i mediatori che si presentano con la faccia buona nel "mondo di sopra", con la capacità di mimetizzarsi tipica delle nuove mafie, come le imprese che entrano nelle white list e che invece nei subappalti fanno lavorare le ditte mafiose. Nel "mondo di sopra" c'è Odevaine che è addirittura un uomo delle istituzioni. Non a caso la vicenda del Cara di Mineo forse anticipa l'intreccio di Roma. Il rapporto trasversale tra le cooperative rosse e bianche, la capacità di costruire regole su misura per chi doveva vincere la gara. C'è un rapporto con la politica a prescindere dal colore».

C'è stata una differenza a Roma tra giunte di destra e dl sinistra? 

«È vero che il salto di qualità avviene con la giunta Alemanno, difficilmente si può contestare questo elemento, mi sembra indiscutibile, checché ne dica Alemanno. Ma poi c'è la capacità di continuare a fare affari con la giunta del centrosinistra. C'è la forza di corrompere tutti. Aiutare e essere aiutati dalla cooperativa 29 giugno appariva una cosa giusta, una buona opera. Buzzi, legato a Carminati, era il volto etico del sociale. lo non so come l'hanno raccontata e se la sono raccontata i politici, ma l'opera buona non può diventare un sistema, né quando ricevi né quando dai, né quando la mucca viene munta né quando viene foraggiata per poter essere munta, come dicono loro. Se l'opera buona si trasferisce dagli immigrati al verde al centro di prenotazione per finire all'Ama può venire qualche dubbio sulla bontà. C'è l'abilità di Buzzi a tenere i rapporti con tutti all'insaputa degli altri. E c'è una fragilità della politica che si ferma all'apparenza. Non ci sono partiti. Ci sono i potentati, i capi bastone, le carriere personali, le cordate. Non c'è militanza, c'è il professionismo della politica. E c'è l'inganno ipocrita del finanziamento lecito».

A cosa si riferisce? 

«Dice Alemanno: quanto ho ricevuto da Buzzi era tutto dichiarato. Anche Marino dice: finanziamenti puliti, tutti dichiarati. Ma mi domando: nessuno si è chiesto l'origine di quei soldi? Io credo che vada rivista la legge sul finanziamento dei partiti che il Parlamento ha appena approvato. Almeno in un punto fondamentale: non si può permettere a una cooperativa o a un'azienda di finanziare gli esponenti politici di un'amministrazione con cui ci sono interessi economici e si partecipa a gare d'appalto. Finisce per essere qualcosa che droga la politica e il mercato. Perché mai altrimenti una cooperativa di sinistra avrebbe dovuto finanziare la fondazione di un sindaco di destra?».

Le sembra che la politica abbia avuto una reazione troppo timida? 

«La reazione c'è stata. Ma quanto è successo a Roma deve spingere la politica a una reazione di sistema. La politica che è stata permeabile alle mafie e alla corruzione deve cambiare non con un intervento sporadico ma con una riflessione rigorosa su sé stessa. Va affermata l'autonomia tra i partiti e le istituzioni. Un abc dimenticato, anche in questa fase di ricostruzione. Faccio un esempio: Matteo Orfini è il commissario del Pd di Roma, non il commissario del Comune. Deve spiegare come vuole cambiare il Pd di Roma, facendo tesoro del rapporto di Fabrizio Barca, ma non spetta a lui indicare di quante commissioni debba essere composto il consiglio comunale del Campidoglio. La prima qualità del cambiamento è la netta distinzione tra partito e istituzioni. Le risposte sul funzionamento del Comune io le voglio sentire da Marino e dai suoi assessori».

Le risposte di Marino le sono sembrate sufficienti? 

«Marino rivendica giustamente di non essere parte del sistema e ha avuto problemi anche per questo motivo. Ha tentato di cambiare, gli va riconosciuto, la reazione è stata forte. Ora però dovrebbe riconoscere lui stesso di non avere avuto modo di rendersi conto di dove si trovava, senza invocare il fattore tempo come attenuante. Deve riflettere sull'opportunità politica delle scelte da fare che non sono dettate da responsabilità personali che Marino non ha. Non è l'onestà, è la sua capacità di controllare gli appalti che è in discussione».

Dovrebbe dimettersi? 

«Se ci fosse la consapevolezza che con una scelta politica si può evitare la vergogna dello scioglimento della Capitale d'Italia per mafia, il sindaco e il Pd dovrebbero fare un passo indietro».

Ci sono gli estremi per sciogliere Roma per mafia? Per Renzi no... 

«Non so su quali elementi possa fare questa affermazione. Io mi rifiuto di parlare senza aver potuto leggere la relazione prefettizia. In termini generali la situazione è tale, e l'ha svelato anche l'assessore alla Legalità Alfonso Sabella, che l'alternativa sciogliere o non sciogliere appare rozza e non risolutiva. A nessuno sfugge cosa significherebbe lo scioglimento per mafia del Campidoglio, ma se ci sono gli elementi si scioglie anche la Capitale. Tutti sanno anche che se non si sciogliesse Roma in presenza di presupposti sarebbe poi difficile far valere la legge con gli altri comuni. Ma una risposta va data anche se non ci sono elementi evidenti per sciogliere. Perché comunque la situazione non può restare così com'è. Non si può interpretare un eventuale mancato scioglimento come un'assoluzione. Non si può dire: tutto a posto, non siamo inquinati... La politica deve immaginare soluzioni innovative».

A cosa pensa? 

«Serve una sorta di "amministrazione controllata". Non si scioglie il Comune, non si manda a casa il sindaco, ma si pongono condizioni molto stringenti e si nomina una commissione di garanzia che affianchi e controlli l'amministrazione con precise competenze tecniche».

Un commissariamento della politica? 

«AI contrario: l'amministrazione eletta democraticamente resta al suo posto e la politica viene affiancata dagli organi dello Stato. Vale per Roma, ma anche per altre realtà: l'esperienza ci dice che a volte non serve mandare a casa una giunta e un consiglio comunale se non viene toccata l'amministrazione. Se io fossi il sindaco di Roma sarei la prima a chiederlo. Un bagno di umiltà sarebbe utile per tutti».

Qual è la responsabilità del suo partito, il Pd? 

«Ha la responsabilità più grande, per il suo ruolo storico. L'aggressione delle mafie è oggi concentrata verso il potere locale, Roma non fa eccezione. Il Pd si è dimostrato pronto a reagire. Ma non basta dimostrare capacità di reazione. Serve rivedere un modo di fare politica. Vincere sembra l'unico fine della politica, a prescindere dalla bontà delle scelte e dalla qualità delle persone. Occorrono nuovi metodi per selezionare la classe dirigente. La risposta alle liste bloccate non possono essere le primarie di partito».

Prima dell'arresto Buzzi partecipò a una cena di autofinanziamento con Renzi. Il partito all'americana è permeabile alle mafie? 

«È stato assicurato che quei soldi saranno restituiti e va benissimo, questa è la risposta. Ma poi devi conoscere chi sono i tuoi amici finanziatori, prima di invitarli. Lo stesso è avvenuto a Venezia, con lo scandalo Mose. Bisogna ricostruire una comunità politica rispetto al modello del partito comitato elettorale, perché americani non lo saremo mai. Formare una leva di politici che non scambino la politica per un mestiere che dà da vivere grazie al meccanismo delle nomine e dell'occupazione delle istituzioni. Devono essere i militanti che scelgono i loro dirigenti, non i dirigenti che creano i loro militanti».

Ha mai sentito Renzi dopo l'Inserimento dl Vincenzo De Luca nella lista dl impresentabili dell'Antimafia e il duro scontro con II Pd? 

«Non l'ho sentito».

Si è pentita dl aver pubblicato la lista? 

«Ho avuto un solo momento di dubbio, quando ho temuto che non arrivassero in tempo i dati richiesti. Avevo davanti un rischio di incompletezza della lista, non della sua completezza, anche se scomoda. In commissione ho ricostruito i passaggi, credo di aver dimostrato la nostra correttezza istituzionale».

Lei ha chiesto Ie scuse del Pd. Possibile che non succeda nulla? 

«Vedo che ora si preferisce il silenzio. Posso capire, ma io mi rivolgerò a un organo di garanzia del mio partito. In sede politica voglio che mi sia riconosciuto che non ho mai usato la mia carica istituzionale per una lotta politica interna. Come si è potuta pensare una cosa del genere? E l'offesa più infamante. La mia formazione e i miei maestri mi hanno educato al rispetto delle istituzioni. Non posso vivere questo valore in conflitto con l'appartenenza al mio partito. Se mi fossi comportata diversamente sarei entrata in conflitto. Vado avanti con il mio lavoro non per grazia ricevuta, ma perché si è riconosciuta la nostra correttezza».

Qualcuno ha detto: il Pd ha perso le elezioni per colpa della Bindi. 

«Penso che sulle scelte degli elettori, sull'astensionismo, pesino tante cose: l'incertezza del futuro, l'aumento della povertà. E il ritorno della questione morale, la corruzione, le mafie. E se il lavoro della Commissione può aver influito lo si deve alla reazione di alcuni esponenti del Pd contro la Bindi. Non avrei mai voluto vedere sui giornali quel titolo assurdo: "Il Pd contro l'Antimafia". Soprattutto di questi tempi».

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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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