
Resoconto stenografico (bozza non corretta)- Grazie Presidente, con lo spirito di chi ritiene che sia davvero arrivato il tempo per apportare alla nostra Carta costituzionale le riforme necessarie perché possa al meglio esplicare in questo momento le sue
potenzialità e le scelte che i costituenti hanno compiuto, con questa convinzione e con il senso di responsabilità che credo appartenga a tutti noi,
quello di condividere per la nostra parte, per la nostra piccola parte, la
responsabilità di dare alle future generazioni una Carta costituzionale che sia
davvero capace di continuare a rappresentare le fondamenta della nostra vita
democratica, ci accingiamo a fare insieme questo lavoro, con la consapevolezza
che alcuni anni sono stati forse sprecati per fare bene quest'opera e questo
lavoro.
Ci sono, però, anche in questo spreco di tempi e di energie
responsabilità precise, alcune delle quali sono anche positive, e forse serve
ripercorrere la storia di questi anni. Chi ha seduto qui ormai da vent'anni ha
assistito al fallimento di una Commissione bicamerale, che era arrivata ad un
disegno compiuto di riforma della Carta costituzionale, e ricorda chi in
quest'Aula dichiarò che in quel lavoro non si riconosceva più: si chiamava
Silvio Berlusconi. Chi è qui da vent'anni ricorda anche che il centrosinistra
ha contribuito, come hanno contribuito i sindacati, come ha contribuito il
presidente Scalfaro e tanti costituzionalisti che non sono più tra noi, come
Leopoldo Elia, e lo stesso Presidente Napolitano, ad una campagna di difesa
nella Carta costituzionale da quella riforma fatta dal centrodestra che, a
nostro avviso, stravolgeva lo spirito costituente. Io credo che aver fermato
quella riforma sia un merito e non una perdita di tempo. Io rivendico di aver
fermato una riforma della Carta costituzionale che stravolgeva le scelte dei
costituenti. Non voglio che sia ascritto a me e a tutti coloro che hanno vinto
quel referendum come una responsabilità negativa.
A volte le riforme si fanno e si fanno sbagliate, il popolo
italiano fermò quella riforma.
Chi, come me, è qui da venti anni, ha anche assistito ad una
responsabilità che credo sia in capo al centrosinistra. Non so se rivoterei
oggi - ero seduta in quella fila - la riforma del Titolo V con un voto di
maggioranza. Non solo perché il metodo costituente ci impone di condividere le
riforme della Costituzione, ma anche perché fu talmente frettolosa quella
riforma, che poi, negli anni, abbiamo dovuto ritornarci spesso sopra per
modificarla e adesso, anche in quest'occasione, il Titolo V è oggetto del nostro
lavoro. Non posso non sottolineare questo, responsabilità negative e
responsabilità positive.
Mettere mano alla riforma della Costituzione significa anche
praticare il metodo e lo spirito della Costituzione. Il metodo ci impone di
farlo insieme. Ora, noi non possiamo ignorare l'anomalia di questa fase
riformatrice che sta nella proposta fatta dal Governo e sta in una sorta di
maggioranza precostituita intorno al progetto che è stato presentato. So bene
che questo limite, questa anomalia, sono dettati dalla necessità di non
perdere, anche questa volta, un'occasione preziosa, però dobbiamo essere
consapevoli che stiamo agendo con un metodo che non è costituente. Dico questo
perché a me pare che non siano ore perse quelle della Commissione affari costituzionali
a dialogare con quelle che vengono ritenute impropriamente, in un processo di
riforma della Costituzione, le minoranze, perché non c'è la categoria della
maggioranza e della minoranza, nella riforma della Costituzione, neanche in un
tempo originale come quello che stiamo vivendo. Penso che siamo ancora in tempo
ad ascoltare le proposte di alcuni gruppi politici che vogliono fare la
riforma, ai quali forse non possiamo consentire di stravolgere l'impianto di
questa riforma, ma forse nel rispetto di quell'impianto ci sono alcune
modifiche che possono essere condivise, anche con quei gruppi che non hanno
sottoscritto un patto di riforma per la Costituzione.
Spirito e metodo costituente significano anche che ciascuno
di noi, come parlamentare, più che in altre materie, non è vincolato a nessun
mandato. Dico questo perché io sono, anche per aver usato questa parola,
disponibile, assolutamente disponibile, non solo a dare a tutto il mio
contributo perché questa riforma vada in porto, e sarebbe il coronamento di
venti anni di vita parlamentare, ma ad accogliere le parole del Presidente del
Consiglio, segretario del mio partito: "non chiedo obbedienza, ma chiedo
lealtà"; lealtà, non obbedienza. Ad un parlamentare che si accinge a fare la
sua parte per la riforma della Costituzione, si può chiedere lealtà, ma non
obbedienza. Riformare la Costituzione significa anche spirito della
Costituzione. Ho sentito dire dall'onorevole Capezzone che noi avremmo dovuto
procedere alla riforma della forma di Stato e di Governo. Ecco, io credo,
invece, che riformare la Costituzione con lo spirito della Costituzione,
significa rendere oggi più forte la scelta di forma di Stato e di Governo che
hanno fatto i nostri costituenti. Io ritengo che la nostra Costituzione sia
rigida, non solo per la procedura che è prevista per il cambiamento della
Costituzione, ma anche perché le scelte dei costituenti, in maniera
particolare, la forma di democrazia parlamentare, non sono a disposizione di
una fase ordinaria di modifica della Costituzione, occorrerebbe un'altra
Assemblea costituente e, come ci insegnava Dossetti, le Assemblee costituenti
sono però legate a momenti di rottura profonda della storia. Oggi non siamo in
questa fase e, quindi, io credo che ci siamo mossi bene.
Io condivido l'impianto del superamento del bicameralismo
paritario, perché questo da sempre è stato un elemento debole del funzionamento
della stessa democrazia parlamentare. Così come credo che sia stato giusto
prendere ed imboccare la strada di affidare alla seconda Camera la
rappresentanza del sistema delle autonomie e delle regioni e, quindi,
prefigurare una sede in Parlamento, nella quale vi sia una ricerca della
sintesi e della cooperazione tra i vari livelli istituzionali. Infatti, la
forma di Stato scelta dai costituenti era, appunto, quella di uno Stato
unitario, ma fortemente improntato al principio autonomistico e regionalistico.
In questi anni abbiamo pagato la mancanza di una sede di
cooperazione istituzionale, soprattutto sul piano della legislazione. Non
possiamo certamente scaricare solo sulla formula della legislazione concorrente
e delle fatiche della Corte costituzionale la difficoltà che abbiamo avuto in
questi anni.
Capisco anche che in questo momento si debba fare una
riforma della Costituzione, improntata alla diminuzione dei costi delle
istituzioni e dei costi della politica. Per raggiungere quest'obiettivo le
strade potevano essere molte. Si è scelta quella di rendere sostanzialmente una
delle due Camere senza indennità ai loro partecipanti. È una scelta essa stessa
che ha una sua spiegazione.
Però, se ci muoviamo all'interno di questi principi e di
questo modello, ci dobbiamo interrogare se quello che il Senato ci ha dato sia
davvero coerente e razionale come modello e se ci faccia raggiungere
l'obiettivo che io credo noi ci siamo posti alla luce del sole, ovvero quello
di rafforzare la democrazia parlamentare, non quello di indebolirla, non quello
di renderla meno efficace e meno efficiente.
È il contrario: andiamo verso una riforma che vuole dare
alla nostra democrazia parlamentare più forza e che vuole trovare un equilibrio
nuovo anche tra Governo e Parlamento, ma nel quale resti l'impronta della
democrazia parlamentare. È il Governo che chiede la fiducia al Parlamento non è
il Parlamento che deve ratificare le scelte del Governo. E questo vale anche in
tempi nei quali sono richieste decisioni rapide. Ma la rapidità delle decisioni
non può, mai e poi mai, smentire il principio fondamentale della centralità del
Parlamento nelle scelte che hanno fatto i costituenti e che noi vogliamo
rinnovare.
Altrimenti hanno ragione quelli che dicono di andare verso
il presidenzialismo con un progetto chiaro e netto. Basti pensare quante volte
il Congresso ha fermato in questi anni straordinarie riforme come quelle
proposte dal Presidente Obama, perché quella è una Repubblica presidenziale, ma
con un Congresso talmente forte che rappresenta un contrappeso fortissimo allo
stesso Presidente, eletto direttamente dal popolo americano. Non si può andare
verso forme surrettizie, che indeboliscono il Parlamento e dentro le quali si
annidano sempre spinte degenerative di tipo autoritario, demagogico e
populistico che certamente in questo momento non ci possiamo permettere.
Gli emendamenti che sono stati presentati da alcuni di noi
non sono emendamenti che vogliono fermare il processo. Tutt'altro, vogliono
arrivare presto a conclusione, ma ci vogliono arrivare, come dicevo prima, con
un modello davvero funzionante.
Voglio toccare alcuni punti di questo. Il primo fra tutti è
che, se si sceglie il modello della Camera delle autonomie, i modelli sono due:
o ci sono i governi delle regioni o è una Camera che nella sua rappresentanza
vuole in qualche modo esprimere le politiche delle maggioranze e delle
minoranze che governano le regioni. Ma i due modelli devono avere una loro
razionalità. Penso che avremmo fatto bene a scegliere il modello cosiddetto
tedesco. Avremmo sicuramente eliminato la Conferenza Stato-regioni e in questo
momento noi avremmo un'interlocuzione dei legislatori tra di loro e poi avremmo
e continueremmo ad avere un'interlocuzione con i governi, che rischiano di
essere in conflitto fra di loro.
Si pensi ancora se ci sono degli spazi e, se non ci sono, si
vada sulla coerenza del modello politico.
Allora, senza aumentare le spese, perché i consiglieri
regionali che fanno i senatori resterebbero senza indennità, ma perché mai li
dobbiamo eleggere in secondo grado e non decidiamo di affidare agli elettori
che eleggono i consiglieri regionali di indicare anche quali tra questi vanno a
fare i senatori (Applausi)? Creeremmo una rappresentanza vera.
Non è possibile neppure questo? Mi si spieghi, allora,
perché si respingono gli emendamenti che chiedono due cose molto semplici, che
almeno i presidenti delle regioni facciano parte di diritto del Senato e che i
21 sindaci non siano scelti dai consigli regionali, perché è una sorta di
subalternità della rappresentanza dei comuni ai consigli regionali ed è fuori
dalla nostra storia culturale, politica, geografica e istituzionale. Si preveda
che i sindaci delle città metropolitane facciano parte di diritto del Senato.
Si dice che il testo non si può toccare, perché altrimenti
torna al Senato e poi si allungano i tempi. Ci possiamo mettere d'accordo con i
senatori: loro non lo hanno fatto prima con noi, facciamolo noi con loro. Ma si
dia un minimo di razionalità a questa Camera. La Conferenza Stato-regioni a
questo punto diventi solo un incontro tra funzionari.
Le chiedo qualche altro minuto, Presidente, se il mio gruppo
è magnanimo con me. Io manterrò questi emendamenti, ma li mantengo nello
spirito di fare meglio e di dare a questa riforma maggiore razionalità.
Rimanendo sul tema delle autonomie, si è voluta abolire la
legislazione concorrente adesso che si dà lo strumento per fare la legislazione
concorrente. Anche questo è davvero bislacco. Ci si domandi perché. Abbiamo
adesso lo strumento per fare insieme le leggi e aboliamo la possibilità di fare
la legislazione concorrente, che è lo strumento vero della cooperazione
istituzionale. Ma anche in questo caso, se questo significa sconvolgere la
riforma, c'è un modo per correggere dentro le materie.
Parlo di due cose di cui capisco pochino pochino. Non è
pensabile che il sistema sanitario e il sistema delle politiche sociali non
abbiano già in Costituzione la possibilità che lo Stato detti i principi
generali e che le regioni e le autonomie intravedano i modelli organizzativi e
la gestione diretta. Anche in questo caso vi faccio un esempio storico. La
Turco portò finalmente in fondo la legge sul sistema delle politiche sociali.
Il giorno dopo approvammo il nuovo Titolo V e in Italia non abbiamo ancora un
sistema di politiche sociali degno di questo nome: nessuna lotta alla povertà,
nessuna legge nazionale sull'autosufficienza, nessuna lotta vera a tutte le
forme di fragilità e di disagio. Proviamo a pensarci. Basta inserire due
parole, due parole.
Veniamo all'altro aspetto che non mi sta meno a cuore. Io
credo che noi che abbiamo voluto questa riforma, e siamo tutti noi, siamo anche
tutti convinti che il sistema maggioritario sia un passo avanti rispetto al
quale non torneremo indietro nelle leggi elettorali. Anche a me sarebbe
piaciuto vederci più chiaro sulla legge elettorale prima di approvare la
riforma. Però io credo che non torneremo indietro sul sistema maggioritario.
Allora, se c'è il sistema maggioritario e se c'è una sola
Camera, ci vogliono pesi e contrappesi. Li abbiamo ottenuti con l'elezione del
Presidente della Repubblica, con la modifica sulla elezione dei giudici della
Corte costituzionale. Bisogna continuare a intervenire sul procedimento
legislativo. Anche in quel caso, secondo me, è un grande risultato aver abolito
il voto bloccato. È rimasto in Costituzione in maniera un po' bizzarra solo il
voto a data certa. Per quanto mi riguarda, finché non c'è un nuovo Regolamento
quell'articolo resta lì, fin quando il Regolamento della Camera non è
modificato e preveda l'introduzione del voto a data certa. Infatti, altrimenti
la storia ci insegna che noi cominciamo a lavorare in un certo modo, ma in
Italia ciò che è precario - a parte i lavoratori - dura in eterno.
Come precari... dura in eterno. Ma era per dire che quella
non è una cosa positiva. Neanche questa lo sarebbe. Quindi, penso che possiamo.
E poi c'è un altro tema che ha posto anche precedentemente
nel suo intervento la collega di SEL. Su alcune materie, se c'è una sola
Camera, essa deve avere la maggioranza qualificata nel prendere le sue
decisioni. L'articolo 11 della Costituzione non lo toccheremo, è ancora lì. Non
è pensabile per la dichiarazione di guerra; si dice che non avverrà mai e chi
ce lo dice? Perché non si può prevedere almeno una maggioranza...
Sto concludendo: almeno una maggioranza qualificata su
alcune materie, nell'unica Camera che prenderà decisione su quella materia,
perché ce ne sono alcune che sono davvero troppo importanti perché ci sia -
come dire? - quello strano trucco per cui chi vince le elezioni non ha solo il
dovere di governare, ma si arroga il diritto in qualche modo di comandare e di
prendere decisioni che non solo appannaggio della maggioranza governativa.
Io penso che siamo ancora in tempo ad apportare alcune
modifiche, io penso che siamo ancora in tempo a rendere in qualche modo, con il
nostro lavoro sulla Costituzione, ancora una volta omaggio ai nostri
costituenti, che vogliono che noi rendiamo la nostra Costituzione più forte
oggi e come tale la confermiamo nel suo impianto fondamentale (Applausi).


Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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