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9/1/2014

L'antimafia siamo...tutti
di Annachiara Valle - da Famiglia Cristiana





IL POTERE DEI BOSS E QUELLO DELLO STATO

Ciotti: La Camorra esiste da 400 anni, da oltre 150 Cosa Nostra, la ’ndrangheta è solo poco più giovane. Non dimentico certo l’impegno dei magistrati, delle forze di polizia, di segmenti delle istituzioni e di parte della società responsabile, ma bisogna riconoscere che le mafie sono ancora forti e radicate in tutta Italia. Mi stupisco di chi si stupisce della loro presenza al Nord. Già nel 1983 un delitto di mafia uccide a Torino il magistrato Bruno Caccia… Le mafie hanno radici al Sud, ma i frutti, da tempo, li producono al Nord. Oggi però hanno cambiato pelle. Uccidono di meno, riciclano di più. Con la loro capacità di anticipazione e adattamento, hanno saputo inserirsi nei meccanismi dell’economia “immateriale”,aumentando i profitti e diminuendo l’allarme sociale. Tutto questo è avvenuto senza un’adeguata presa di coscienza sociale e politica. Come te lo spieghi?

Bindi: Sulle molte facce delle mafie occorre riflettere e indagare ancora a fondo. Al Sud, dove i diritti fondamentali delle persone sono tuttora compromessi, dove non c’è lavoro, il sistema sanitario non funziona, la scuola di qualità non è garantita a tutti, e – come in Calabria in maniera particolare – si vive un isolamento dal resto del Paese, ci si convince che il potere della mafia assicura ciò che il potere dello Stato nega. L’arresto di un mafioso non dà i risultati che ci aspetteremmo perché le ragioni per le quali era potente e aveva consenso sociale non vengono meno. Al Nord la rimozione del fenomeno ha accompagnato un’infiltrazione profonda e pervasiva. Ci si è ostinati a dire che il problema riguardava le regioni meridionali senza capire che il vero guadagno le mafie lo realizzano al Nord. Sono state capaci di approfittare dell’economia malata di questi anni, mentre noi non ci siamo dati strumenti adatti per contrastarle. Ci ostiniamo a non capire che al pizzo o all’estorsione corrispondono i silenzi delle banche, la mancanza di una legislazione adeguata sulla trasparenza e di contrasto dei paradisi fiscali, del riciclaggio e dell’autoriciclaggio. La verità, come dici tu don Ciotti, è che loro sanno anticipare il cambiamento più di noi. Tanto sanno restare legati alle tradizioni anche arcaiche tanto sanno stare nella modernità. Noi abbiamo smarrito il senso della famiglia, della terra, delle radici e non abbiamo gli strumenti– o non vogliamo averli – per stare dentro questa modernità.

È LA CULTURA CHE DÀ LA SVEGLIA ALLE COSCIENZE

Ciotti: C’è alla base un grave problema culturale. Nino Caponnetto ha detto:«La mafia teme la scuola più che la giustizia, l’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa». In questi anni sono stati realizzati progetti di valore, ma il dato impressionante è che abbiamo un grande numero di analfabeti e un così alto indice di dispersione scolastica da meritarci il richiamo dell’Europa. Aveva ragione da vendere, Caponnetto: il problema delle mafie nasce innanzitutto da un deficit di cultura e di responsabilità. La loro espansione si avvale di coscienze addormentate e indifferenti. Le organizzazioni criminali hanno trovato inedite sponde proprio nella “società dell’io” e nel suo diffuso analfabetismo etico... Sono diventate forti in una società culturalmente depressa e politicamente debole, incapace di promuovere l’impegno per il bene comune.

Bindi: Condivido pienamente la tua analisi. Vedo, andando in giro per il Paese, che anche la lotta alla mafia viene vista come “cosa loro”. Insieme c’è la sottovalutazione di beni fondamentali come il lavoro, l’istruzione, le politiche sociali e la non sufficiente valorizzazione delle risposte – che sono tantissime – della società responsabile. Dovremmo far diventare patrimonio di tutti lo straordinario lavoro culturale e civile di queste persone, che ci aiutano a far capire come ogni volta che si affievolisce il valore della legalità si apre un campo fertile di radicamento dei poteri mafiosi. In un Paese dove abbiamo evasione fiscale e corruzione a livelli altissimi si finge di non sapere che queste sono anticamera per la mafia. Il primo impegno dovrebbe essere quello di smontare il convincimento che l’illegalità è conveniente. Al contrario produce povertà, paura e violenza. Il rapporto mafia politica va indagato, senza reticenze. Non possiamo permettere, come è accaduto, che un ministro della Repubblica dica che con la mafia dobbiamo convivere. È una resa inaccettabile alla logica mafiosa. La nostra Commissione affronterà questo nodo, avendo chiara la distinzione tra i compiti del magistrato e quelli del politico. Sicuramente va approvata una legislazione diversa e più efficace sul voto di scambio. Ma io penso che la politica dovrebbe riuscire a emettere un giudizio su sé stessa prima ancora che emergano reati. Se so che fare il sindaco nella Locride è diverso che fare il sindaco in Toscana, so anche che c’è una politica che in alcune zone del Paese con il voto di scambio tiene la società sotto ricatto e abitua la comunità a essere ricattata. Se invece di rafforzarti nella tua dimensione di cittadino riconoscendo i tuoi diritti ti tengo legato ai miei favori ti rendo permeabile ai poteri mafiosi. Da questo punto di vista il codice etico antimafia è da riprendere. La nostra Commissione dovrebbe anche incalzare le forze politiche perché prevedano un grande investimento nella formazione di politici e amministratori che si trovano nei territori più esposti.

AGGIORNARE LE MISURE SUI BENI CONFISCATI

Ciotti: Disponiamo di strumenti di contrasto efficaci, come la legge sulla confisca dei beni e il loro uso sociale. La 106/95 salda la dimensione repressiva con quella etica, culturale, economica. Un bene confiscato e messo in grado di funzionare non è solo uno smacco alle mafie, ma è la prova che il bene e l’utile possono e devono coincidere! Però occorre un salto di qualità. Il prefetto Caruso, che guida l’Agenzia nazionale, da tempo sottolinea limiti e avanza proposte. C’è un problema grave di organico e di risorse. Ci sono meccanismi che rallentano l’iter di confisca e di assegnazione. C’è il problema delle aziende, di cui solo una minima parte è riuscita a sopravvivere. Problemi che chiedono risposte all’altezza, perché quella dei beni confiscati è una partita che non possiamo permetterci di perdere.

Bindi: Sui beni confiscati si sono ottenuti risultati importanti, però va fatto un aggiornamento delle norme anche perché se non riusciamo a renderli produttivi facciamo aumentare il consenso alle mafie. L’azienda sequestrata che fallisce e licenzia diventa un esempio negativo, provoca le manifestazioni sotto le Prefetture e gli attacchi ai magistrati che si occupano di misure di prevenzione. C’è da intervenire meglio nella prima fase perché non passi molto tempo dal sequestro alla confisca e perché si usi una logica imprenditoriale. Se abbiamo sequestrato un rudere meglio abbatterlo e farci un parco per bambini, ma se si sequestra un supermercato, come è stato fatto a Palermo, visto che in questo Paese esiste una legislazione di vantaggio per la cooperazione si potrebbe chiedere ad alcune cooperative di farsi carico del bene e di riportarlo nell’economia legale, per essere un servizio ai cittadini e un luogo di buona occupazione. Bisogna esigere che ci sia una reazione di più attori e di più soggetti. Poi si deve istituire l’albo degli amministratori dei beni confiscati, per evitare, come purtroppo avviene, che a gestire le imprese sequestrate ci siano prestanome dei mafiosi. È un capitolo importante sul quale contiamo di ottenere subito dei risultati. Accanto c’è il grande tema degli enti locali. Anche qui la legislazione non è più adeguata. Bisognerebbe rafforzare gli strumenti per prevenire infiltrazioni e condizionamenti criminali nelle amministrazioni. Quando invece c’è lo scioglimento, bisognerebbe nominare commissari a tempo pieno che non siano semplici burocrati e abbiano più poteri. E, soprattutto, si deve evitare che i politici che hanno causato lo scioglimento per infiltrazione mafiosa rivincano le elezioni. Ancora, penso che dovremo prendere in esame il ruolo dei professionisti, senza demonizzare le singole categorie, ma in collaborazione con gli ordini perché è ormai evidente una vasta zona grigia in cui operano notai, medici, avvocati, commercialisti, consulenti finanziari al servizio delle organizzazioni criminali.

ANCHE LA CHIESA DEVE DIRE COME STANNO LE COSE

Ciotti: Parlando d’impegno trasversale contro le mafie, non si può fare a meno di sottolineare il ruolo della Chiesa. Come sacerdote, voglio rimarcare la graduale ma palpabile presa di coscienza circa la gravità del problema mafioso. Ogni giorno incontro persone e realtà che vivono il Vangelo senza sconti, saldando la dimensione spirituale con l’impegno sociale. E questo grazie anche all’impulso di rinnovamento e alla lezione di umiltà che viene dall’alto. L’ultimo documento per la pace del Papa parla di corruzione, tema su cui aveva scritto, ancora da vescovo, un testo di grande profondità. Ma gli stessi Benedetto XVI e Giovanni Paolo II avevano sottolineato l’incompatibilità tra mafie e Vangelo, a maggior ragione se è il Vangelo strumentale, tutto esteriore, dei boss. Tutto questo non deve farci però dimenticare le ombre, le complicità, gli eccessi di prudenza di ieri ma anche, in parte, di oggi.

Bindi: Uno dei punti di forza che usa la mafia è quello del rapporto con la dimensione religiosa. Bisogna liberare la Chiesa e il Vangelo dall’uso strumentale che ne fa il potere mafioso e ritrovare la forza liberante della radicalità cristiana. Chi lo dice che il cristiano debba essere rassegnato allo status quo? Di fronte al male della mafia, della disuguaglianza, della corruzione, della violenza, dello sfruttamento la Chiesa, se tace, finisce per diventare più connivente di altri. Dobbiamo interrogarci su un punto: in ogni comunità c’è una caserma dei carabinieri, ma c’è anche una chiesa, e se mafia è uguale a radicamento nel territorio, chi è più radicato della comunità cristiana? Quindi alla domanda: «Perché non riusciamo a sconfiggere la mafia» c’è anche la risposta: «Perché noi come cristiani e come comunità cristiana non abbiamo fatto abbastanza». Anche noi credenti preferiamo non vedere, non chiamare il male per nome. In fondo, il discorso che si fa per la politica vale per la comunità cristiana. È vero che non tutti noi politici siamo Pio La Torre e non tutti noi cristiani siamo don Puglisi.

LA LOTTA ALLA CORRUZIONE E MAFIA È LA VERA POVERTÀ

Ciotti: A gennaio il Governo si è impegnato a presentare un “pacchetto di norme antimafia”. Mi auguro serva d’impulso a risolvere questioni urgenti come l’approvazione della modifica del reato di voto di scambio e il rafforzamento della legge sulla corruzione. O il contrasto ai crimini ambientali: non è possibile che reati così odiosi e dalle ricadute tanto vaste non siano ancora inseriti nel codice penale! Ma vorrei porre all’attenzione il problema dei testimoni di giustizia e dei familiari delle vittime. I familiari chiedono che si riveda il limite del 1° gennaio 1961 perché ci sia il riconoscimento di vittima di mafia. È una norma insensata, perché la mafia ha ucciso, e molto, anche prima. Poi di avere 150 ore riconosciute e retribuite per l’impegno di testimonianza nelle scuole e nelle carceri minorili. Molti se lo accollano gratuitamente, bruciando ferie e permessi. Per parte loro, i testimoni di giustizia chiedono di essere più sostenuti e accompagnati nelle loro coraggiose scelte di vita. Ma sempre più sono le persone che, pur non essendo tecnicamente né testimoni né collaboratori di giustizia, vogliono uscire da circuiti mafiosi e criminali nei quali sono vissute e dei quali si sentono ostaggi. Aiutarle a costruire una speranza per sé e i propri figli non è solo un dovere morale e sociale, ma un segnale per indurre anche altri a seguirle in quel difficile passo verso la dignità e la libertà.

Bindi: Le persone che vogliono rompere con l’ambiente mafioso devono avere qualcuno che le accompagni e avere garanzie di sicurezza e segretezza non minori di quelle previste per i testimoni. La Commissione e io ci impegneremo sui punti indicati da te, don Ciotti. Ma ci sono anche altre questioni. Penso in maniera particolare alla capacità delle mafie di entrare nell’economia legale creando convenienze per gli operatori economici e da questo punto di vista lo strumento della “white list” non è adeguato. L’Expo 2015 è una grande opportunità per l’Italia ma anche per le organizzazioni criminali. I rischi di infiltrazioni negli appalti sono reali. La missione della Commissione a Milano è stata rassicurante ma la vigilanza deve continuare ad essere alta. Segnalo infine due impegni della Commissione: la Calabria e l’Europa. Serve una legge speciale per la Calabria. Una regione che è in una situazione drammatica e che non può essere lasciata a sé stessa e alla quale, al contrario, occorre restituire attenzione e risorse che le sono state negate o tolte. Infine dobbiamo investire sul Semestre europeo. Mi piacerebbe che si mettesse la lotta alle mafie al primo posto, perché la crescita sulla quale intendiamo puntare anche in Europa o è all’insegna della legalità oppure non è.




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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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