
Anche se di recente Renzi dà l'impressione di riposizionarsi rispetto al tempo delle primarie contro Bersani, ancora non mi convince. Al momento, di ciascun candidato apprezzo questo o quel profilo, ma non mi riconosco compiutamente in nessuno di essi. Ancora vado cercando chi possa interpretare un Pd né lib né lab ma piuttosto dem, che inveri cioè l'originalità e la novità della stagione alta dell'Ulivo. Mi piacerebbe che mi si credesse: non ho candidati e dunque il mio è un punto di vista che non sottende alcuna preferenza. Dicevo che Renzi non mi convince. E tuttavia giudico severamente le diavolerie che ci si inventa da lunghi mesi per contrastare l'ascesa del sindaco di Firenze. Dalle regole al calendario. Un ostruzionismo maldestro, goffo, autolesionista praticato da un gruppo dirigente sconfitto che dovrebbe avere l'umiltà di fare un passo indietro. Io, che pure non avevo responsabilità di rilievo nel partito, ma ho sostenuto Bersani e la maggioranza, mi considero, pro quota, corresponsabile della sconfitta. Dirigevo solo il mensile on line del Pd Tamtamdemocratico e ho sentito il dovere di lasciare tale responsabilità subito dopo le elezioni. Tocca ad altri, noi ci abbiamo provato e abbiamo mancato l'obiettivo.
Nella caotica assemblea nazionale dello scorso fine settimana, risoltasi in un flop, si è discusso di regole e segnatamente del rapporto tra leadership e premiership. Ma, fuor di ipocrisia, la disputa sulle regole aveva dietro di sé nomi e cognomi. Due in particolare: Renzi e Letta. Anche noi abbiamo imparato dal nostro storico avversario la cattiva abitudine di discutere di regole pro o contra personam. Mi limito a due osservazioni. La prima sulle regole, la seconda sulle (due) persone. A ben vedere, i due effettivi competitor. A maggioranza (non unitariamente) la commissione incaricata ha proposto di separare segretario Pd e candidato premier. Dissento per tre ragioni: 1) trattasi di regola di portata identitaria, quasi l'architrave del modello di partito disegnato nel nostro statuto (altro che semplice manutenzione di esso). È perfettamente legittimo cambiarlo, ma non ora a congresso aperto. Semmai se ne deve discutere dentro il confronto congressuale e deliberare solo poi sulla base delle sue risultanze. Lo stesso Cuperlo, che è per la separazione delle due figure, in direzione ha sostenuto efficacemente che è dentro il congresso e non a monte di esso che si dovrà discutere e poi semmai cambiare la forma partito; 2) le leadership politiche contemporanee naturalmente evolvono nella direzione di leadership di governo. Di più: in un tempo straordinario come questo, per il Pd e per il paese, abbiamo bisogno di leader autorevoli e accreditati agli occhi dell'opinione pubblica, non di segretari organizzativi. Al tempo dell'Ulivo, D'Alema era il più strenuo sostenitore della tesi secondo la quale, in Europa, il leader del major party è, naturaliter, il candidato premier della coalizione. Ora egli ha cambiato opinione. Ma rammento che il Pd lo si è fatto anche per venire a capo di quel problema, cioè di fare del Pd e del suo leader l'asse portante di una proposta di governo e per non incappare di nuovo nella sindrome che afflisse Prodi, quella di un premier privo di un partito che organicamente lo sostenesse; 3) giudico francamente debolissimo l'argomento spesso evocato e cioè che abbiamo uno dei nostri alla guida del governo. Osservo: intanto non si scrivono le regole statutarie sulle persone e sulla contingenza, ma soprattutto - domando – possiamo esorcizzare la specialtà di questo governo, figlio di uno stato di eccezione, e di una premiership da cooptazione e non sortita da un'aperta competizione, come configurata da statuto e progetto del Pd?
Qui siamo condotti alle persone. Sia chiaro: non nei loro profili soggettivi, ma piuttosto politici. Ho grande stima per Letta, ma mi permetto di porre tre problemi. Il primo: egli accompagnò in ogni e singolo passaggio Bersani nel vano proposito di dare vita al cosiddetto governo del cambiamento. D'un tratto fu chiamato a presiedere un governo politico di larghe intese. È plausibile che, domani, possa candidarsi lui alla guida di un governo di centrosinistra alternativo al centrodestra? Bersani, una volta mancato il suo obiettivo, ha fatto un passo indietro. In ogni caso, se anche Letta si orienterà in tal senso, basterà mettere a regime la deroga che fu operata per autorizzare Renzi a competere con Bersani. Basta un limitato ritocco all'articolo 18, non è necessario snaturare il modello di partito cambiando l'articolo 3 (lo abbiamo proposto in assemblea, ma incomprensibilmente ci si è opposto un diniego: o tutto o niente e si è risolto in niente). Si stabilirebbe così la possibilità di un'eccezione, un ragionevole elemento di flessibilità, ferma restando però la regola del nesso tra leader e premier Pd.
Secondo problema: ha ragione Parisi. Letta dovrebbe partecipare al confronto congressuale non solo per difendere le ragioni del suo governo, ma anche per dare il suo contributo alle sorti del Pd. Lo ripeto: un domani potrà avanzare In sua candidatura a succedere a se stesso (grazie alla deroga di cui sopra). Ma partecipando sin d'ora alla discussione sul futuro del Pd e del sistema politico. Non mi ha mai convinto la tesi sostenuta da Enrico secondo la quale lui e il governo si occupano di politiche (al plurale) e il partito di politica (al singolare). Come se non vi fosse un nesso intimo e inscindibile tra le due cose. Come se la politica fossero chiacchiere politiciste da opporre alla concretezza delle azioni di governo.
Terzo e ultimo rilievo, il più delicato, quasi un tabù, ma io, non avendo vincoli, me lo posso concedere. Checché Renzi smentisca, è altamente probabile che una sua eventuale segreteria rappresenterebbe un problema per il governo Letta. Non è da escludere che essa ne accorci la vita. Ma domando: non avevamo convenuto, all'atto della sua nascita, che quel governo aveva un mandato limitato, nel programma e nella durata? Non è un problema la sua stabilizzazione oltre i limiti convenuti? Ma soprattutto merita domandarsi se lo scatto e le profonde riforme di cui ha bisogno il paese non richiedano piuttosto, entro tempi relativamente brevi, un esecutivo con base omogenea e respiro lungo, a valle di nuove elezioni? Stimo Fassina e il suo keynesismo, ma quanto può essere praticato e non solo retoricamente proclamato dentro un esecutivo condiviso con un partito, il Pdl, non di lotta e di governo, ma addirittura di lotta "dentro" il governo e "dentro" il consiglio dei ministri?

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Lasciato da I really don't know why they are bniterhog with all this democratic stuff, if the EU doesn't like their choice they will force a change anyway. Better to go direct to Brussels and get them to appoint one, you never know they might even get an Italian. htt il giorno 04 Dicembre 2015 alle 08:49dgyYZwm0
Lasciato da La grande dndoama:quelli delle PDL si interessano a Renzi perche8 stanno cercando qualche forma di sopravvivenza post berlusconiana oppure il loro e8 un astuto sabotaggio suggeritogli dall' alleato GiuD' Alema?Vanni. il giorno 02 Dicembre 2015 alle 05:52


Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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