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9/6/2013

Al Pd serve una leadership contendibile e trasparente
di Franco Monaco - da L'Unità


Dunque, il percorso congressuale ha preso il via ed è utile cominciare a riflettere sulle questioni di fondo. La prima e la più decisiva è quella dell'identità stessa del Pd, dei suoi riferimenti ideali e della sua missione nella società e nel sistema politico italiano. Dopo avere assunto la guida del Pd, pur con la misura e il garbo che gli sono propri, Epifani ha fatto uso di una espressione impegnativa: il Pd, ha notato, sconta una «identità fragile». Che è espressione più forte dell'«amalgama mal riuscito». Muovendo da quell'assunto, accenno a una questione cruciale nel processo congressuale.

Sento dire da Epifani che il congresso muoverà dal basso. Formulata così, chi mai oserebbe eccepire? Tuttavia vorrei capire. Altra formula di rito è la seguente: si richiede un «congresso vero». Che significa? Se capisco: una riflessione e un confronto aperto, franco, serrato, di natura eminentemente politica. Domando: considerato che nessuno rimette in discussione l'idea di una elezione larga e diretta del futuro leader del Pd, non vedo come si possa adottare una procedura - spero di non essere frainteso - che semmai comincia dall'alto. Cioè da candidature naturalmente associate a piattaforme tra loro distinte e in competizione. Di questo devono discutere da subito i circoli territoriali e poi su su sino al livello nazionale. Altrimenti di che altro? Che altra ginnastica gli facciamo fare? Non vorrei che passasse l'idea che questa è una pratica divisiva. Solo una visione organicistica del partito lo può asserire. È dentro il confronto che si forgia una identità che non sia appunto debole.

La mia opinione è che a minare la vita democratica interna del Pd non siano state le differenze, ma la loro dissimulazione unanimistica, non le correnti ma le cordate personali. Del resto, rammentiamo i due precedenti. Quando il candidato senza rivali che non fossero di mera testimonianza fu Veltroni ci si inventò a suo sostegno una pluralità di liste tipo scherzo ma non troppo «a sinistra per Veltroni», «al centro per Veltroni», «a destra per Veltroni». Per di più con la soluzione equivoca e regressiva del ticket, con un candidato vicesegretario che reiterava il vecchio dualismo Ds-Margherita. Noi addetti ai lavori sapevamo perfettamente che dietro quell'unanimismo e quel plebiscito covavano vecchie e nuove differenza politiche e programmatiche, che puntualmente affiorarono sin dal giorno dopo. Per converso, per quel che mi riguarda, ricordo la competizione tra Bersani e Franceschini come una delle rare occasioni di confronto politico reale e vivace in giro per i circoli Pd. Salvo che, dopo l'elezione di Bersani, Franceschini passò con la maggioranza.

Ecco dunque due lezioni: il confronto congressuale sia da subito, a tutti i livelli, confronto tra candidati con le rispettive piattaforme politiche; se liste ci saranno per eleggere rappresentanti nell'assemblea nazionale ad ogni candidato deve corrispondere una e una sola lista. Ripeto: in un partito largo e plurale, il problema non sono le correnti, ma la loro degenerazione in cordate personali o localistiche. L'antidoto ad «anarchismo e feudalizzazione» interni denunciati da Bersani all'atto delle sue dimissioni è semmai la qualificazione ed elaborazione politica delle differenti posizioni e la loro riconoscibilità.

Queste osservazioni formali e procedurali, si incrociano con il «fattore Renzi», che si configura come un attore protagonista del congresso Pd. Spero appunto un attore, non un convitato di pietra. Non vedo come egli possa sottrarsi alla competizione per la leadership. In linea con il suo modello politico (competitivo, maggioritario, presidenzialistico, si pensi allo slogan del «sindaco d'Italia»), come ha notato Panebianco, egli deve conquistare la leadership del partito e, di lì, candidarsi poi a premier. Trovo sorprendente la sua esitazione. Come, del resto, fu inspiegabile la disponibilità da lui fornita (lo conferma Renzi stesso nel suo libro), prima che Berlusconi lo stoppasse, a presiedere l'attuale governo consociativo assumendone la guida per cooptazione. L'opposto del modello competitivo, interno ed esterno al partito, legato a «primarie», che egli ha interpretato e interpreta.

Sul punto, trovo discutibile e precipitosa la riforma statutaria che Epifani e altri dirigenti con lui danno per scontata: ossia la separazione tra leadership e premierhip. Un punto statutariamente qualificante la forma partito Pd. Una tesi sostenuta con un argomento debolissimo: abbiamo il nostro Letta a palazzo Chigi. Ma davvero noi possiamo definire l'identità statutaria del Pd ogni volta in ragione della congiuntura politica? Non è anche così che si decreta e si reitera una «identità debole»? Vale per chi oggi guida il partito, ma anche per Renzi: già l'altra volta derogammo allo statuto per propiziarne la partecipazione alle primaria di coalizione per la premiership. Non è che oggi possiamo piegare di nuovo lo statuto al suo calcolo, che so?, di tenersi fuori dalla competizione per la leadership del Pd e magari di adoperarsi per un partito e un segretario depotenziati e dunque meno ingombranti, così da spianargli la strada alla premiership.

Penso che la soluzione opposta, quella di una corsa per la guida del partito cui segua quella per la premieship, sarebbe più congeniale e coerente per Renzi e nell'interesse del Pd. Ma penso soprattutto che sarebbe più coerente con una concezione sanamente competitiva della democrazia. Già dobbiamo sostenere un governo di larghe intese prodotto da uno stato di necessità, che almeno sia trasparente e contendibile la competizione dentro il partito. Lo osserva uno come il sottoscritto che ha condiviso la linea Bersani e che dunque si sente pro quota corresponsabile di una sconfitta. Ora tocca ad altri. Gli sconfitti si devono farsi da parte (non solo Bersani). Ma chi succede loro deve conquistare la leadership in un aperto confronto e declinando lì dentro le proprie generalità politiche.

 

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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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