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1/6/2013

Non impoverire la democrazia a vantaggio dei più ricchi
di Michele Prospero - da Com.Unità


La politica ha un costo. Solo l’ipocrisia può far finta di credere che i partiti campino di aria. E per questo in tutte le democrazie europee, da quelle più antiche, a quelle di più recente istituzione, esiste il finanziamento pubblico dei partiti. Anche l’Inghilterra, che ne è priva, concede a tutti i gruppi un modico sussidio, di qualche milione, per ricerche, attività di studio. E solo per l’opposizione prevede sovvenzioni più cospicue.

Il proposito del governo di tagliare il finanziamento diretto ai partiti, cui nel 2015 si aggiungerà anche il blocco dei fondi indiretti destinati all’editoria, ha sollevato molti interrogativi sul destino della politica in Italia. In assenza di norme sul conflitto di interessi, sulla trasparenza della provenienza dei fondi, sulla tracciabilità delle contribuzioni, sugli argini alle donazioni mascherate c’è il rischio di riesumare una logica ottocentesca. Cioè quella prevalenza degli interessi ristretti che ad una grande «scuola del sospetto» faceva dipingere lo Stato liberale come un comitato d’affari della borghesia.

In un’età che vede la proliferazione di partiti privati-mediatici-aziendali (quelli di Berlusconi e di Grillo), con la decapitazione dei contributi pubblici si affida al denaro il compito di orientare il senso della competizione. Il taglio del finanziamento non è quindi una operazione neutra: avvantaggia alcune classi sociali e ne danneggia altre, che vengono così limitate nella loro capacità di entrare nella sfera pubblica.

Dinanzi al peso asimmetrico degli interessi organizzati, la scomparsa della mano pubblica oscura la regia delle lobby della finanza e dell’economia nel decidere i contenuti della legislazione. Certo, il finanziamento pubblico non basta per preservare l’autonomia politica dei partiti dai gruppi di interesse e neppure per scacciare i fenomeni di corruzione. Ma negare ai partiti i fondi per la cultura, per l’informazione, per le funzioni organizzative significa impoverire la democrazia e darla in appalto alle potenze del mercato.

La battaglia delle idee entro gli stessi partiti dipenderà sempre più dall’attitudine degli aspiranti leader a procacciarsi i favori di ricchi finanziatori. La sovranità di media e denaro porta al sacrificio del ruolo dei gruppi dirigenti, dei luoghi di discussione non subalterni ai poteri privati. La caduta della legittimità dei partiti rende più facili certe scorciatoie e la negazione dei contributi pubblici viene salutata come un riavvicinamento alla società civile. Ma la chiusura dei fondi inaridisce la già precaria esistenza dei partiti, con conseguenze catastrofiche nella funzionalità delle istituzioni, sulla capacità di governo di una società in declino.

Se i partiti vengono scacciati dallo Stato (in tutta Europa le fonti di sostegno provengono in gran parte dalle risorse pubbliche: dal 95 per cento della Spagna, al 90 per cento della Grecia, all’85 per cento del Belgio), non è che tornano nella società e nei territori. Scappano verso il denaro e chi ne dispone comanda ancor più, decide la leadership contendibile e detta l’agenda legislativa. Il divorzio dalla società resta immutato mentre annullata è la distanza dai poteri forti in grado di condizionare, proibire, sconsigliare. Neanche i grandi partiti di massa, nel loro periodo aureo (15 elettori su 100 erano membri di un partito), potevano sopravvivere con i soli sacrifici dei militanti (tesseramento, sottoscrizioni per la stampa, feste). Ora che i partiti vantano meno radici nella società e nella membership attiva (poco più del 4 per cento degli elettori è iscritto a un partito in Europa), e il ruolo finanziario degli iscritti pare ovunque ridimensionato, pensare che le organizzazioni possano cavarsela con le donazioni private è una operazione dettata da falsa coscienza.

L’aggiunta di alcune misure di scopo (accesso garantito ai media, disponibilità di sedi periferiche) va incontro al partito che opera nella rappresentazione e richiede misure utili per le mansioni elettorali-procedurali. Non risponde però al partito di rappresentanza che dispone di organismi per conservare la continuità organizzativa e per aggiornare l’identità culturale. In una età di antipolitica, il sostegno finanziario dello Stato allarma molto più del dominio di interessi economici privati che riducono i partiti a loro docile braccio secolare. E però proprio dove i partiti godono ancora di una buona salute (in Germania ogni anno ricevono133 milioni, cui si aggiungono gli oltre 100 per la fondazione Erbert della Spd e i 90 della fondazione Adenauer della Cdu) si registra anche una crescita economica e una buona tenuta sociale.

La mediazione politica va ricostruita, non bisogna accarezzare l’antipolitica con misure punitive dei partiti, che già sono deboli e vagano come fantasmi in uno Stato assente. L’Italia non cresce anche perché le vie della mediazione politica sono state ostruite. Chi indebolisce il mediatore invece di ricostruirlo, accentua la crisi. E quindi tiene accese le condizioni della rivolta antipolitica, non le placa.


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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

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