
Con questa settimana prende il via il processo delle riforme, della legge elettorale e della seconda parte della Costituzione. L'attenzione dei media e della pubblica opinione è concentrata sul primo fronte, quello della correzione ovvero della rimozione del Porcellum. Lo si può comprendere. Esso ha dato un contributo determinante a scavare un solco profondo tra cittadini elettori e istituzioni politiche. Ma sarebbe un errore abbassare la soglia della vigilanza sul fronte non meno delicato delle riforme costituzionali. Sia circa gli strumenti e il metodo della revisione, sia circa il merito e segnatamente sulla forma di governo: parlamentare, pur con misure tese al rafforzamento dei poteri del premier, ovvero semipresidenziale. Data la complessità della materia, mi limito ad alcuni caveat preliminari.
Primo: dopo la doppia botta (elezione al Quirinale e governo politico con il Pdl) che tanto ha messo crisi il rapporto con il nostro popolo, non possiamo permetterci di rompere con quel vasto modo civico, politico e costituzionale (compresa una parte cospicua della comunità dei costituzionalisti un tempo a noi vicina) che già si sta mobilitando contro le insidie connesse a un percorso che deroghi alla procedura ordinaria di revisione contemplata dalla Costituzione stessa. Una deroga da essi non a torto interpretata come uno strappo alla legalità costituzionale e uno svilimento dei poteri in capo al Parlamento e solo ad esso. Penso all'annunciata manifestazione di Libertà e giustizia del 2 giugno prossimo a Bologna, presenti Zagrebelsky e Rodotà.
Secondo. A farci memoria della difficoltà dell'impresa sta la circostanza della grande distanza che ci separa dai nostri partner del Pdl sulla materia costituzionale, dentro un governo che si è intestato un ruolo di stimolo e di promozione del processo riformatore. Una distanza non inferiore a quella che attiene alla materia di governo. A noi, che persino con enfasi un po' retorica parliamo della nostra come della Costituzione più bella del mondo e del Pd come «partito della Costituzione», fa da contraltare un leader che l'ha sempre dipinta come una Costituzione sovietica e ha praticato comportamenti spesso lesivi della legalità costituzionale. Scusate se è poco.
Terzo. Ammettiamolo: fummo un po' superficiali e incauti quando, dopo il voto, coltivando l'illusione di ottenere che «non ci fosse impedito» (sic) il varo di un governo di minoranza sul quale eravamo concentrati, evocammo noi stessi strumenti impropri come una Convenzione per le riforme che configurasse un percorso più celere e derogatorio rispetto alla procedura ordinaria e garantista dell'art. 138. Non sarebbe la prima volta che, andando per le spicce, poi ci si debba pentire di aver posto un pericoloso precedente.
Quarto. Di nuovo, nelle comunicazioni alle Camere per il voto di fiducia, il premier Letta, a mio avviso incautamente, mi pare abbia legato la sorte del governo che si insediava al carro delle riforme costituzionali. Con l'accenno al limite temporale di un anno e mezzo. Ripeto: i piani sono distinti. Quello delle riforme costituzionali ha da essere genuinamente parlamentare, un piano diverso per oggetto, metodo, soggetti coinvolti, dal piano proprio dell'azione di governo. E dobbiamo respingere la tesi vagamente ricattatoria del ministro Quagliarello secondo il quale chi eccepisce sulle procedure di revisione sarebbe un sofista che intende boicottare le riforme. Quando si tratta di revisione costituzionale, la forma è sostanza. O siamo a una tale regressione nei fondamentali di una buona cultura istituzionale (Elia parlava di decostituzionalizzazione della nostra democrazia) da autorizzare le pratiche più bizzarre e sbrigative?
Quinto. Non più tardi di un anno fa la direzione del Pd votò un deliberato formale che respingeva la soluzione sempiresidenzialistica. Giustamente si decise di fare precedere a un passaggio parlamentare sul punto (al Senato) un formale indirizzo politico di partito. Mancherebbe che un partito degno di questo nome non disponesse di un suo punto di vista sulla forma di governo. Possiamo cambiare idea. Ma si richiede una discussione all'altezza del problema e un nuovo deliberato formale. Che auspicabilmente non si risolva in slogan grossier del tipo «sindaco d'Italia». Mi si consenta solo di osservare incidentalmente che cambiare troppo rapidamente opinione su problemi di questo rilievo può essere indizio di una qualche incertezza identitaria.
Sesto, a proposito di volubilità. Un anno fa inscrivemmo in Costituzione il pareggio di bilancio. Lo votai per disciplina di partito, ma non ne ero convinto. Già oggi registro significativi distinguo. Due economisti bocconiani e fieramente liberisti come Alesina e Giavazzi suggeriscono di non esagerare con il dogma del 3% e il vecchio liberista e monetarista Antonio Martino, alla Camera, evocando gli Usa, ha elogiato la flessibilità nella politica di bilancio. In opposizione alla ottusa rigidità della Ue. Morale? Non è saggio varare impegnative riforme costituzionali sull'onda dell'emergenza.
Settimo. A proposito di disciplina di partito, mi si permetta una provocazione. Le gerarchie ecclesiastiche hanno messo in circolo l'espressione «principi non negoziabili» sui quali il legislatore cristiano dovrebbe rispondere alla propria coscienza piuttosto che alla disciplina di partito. Tesi che meriterebbe un accurato approfondimento. Tuttavia potremmo sostenere che, laicamente, i principi non negoziabili che chiamano in causa la coscienza sono i principi costituzionali. Auspicherei che non ci si metta a fronte di scelte che ci costringano a invocare la nostra laica fedeltà ai principi costituzioni. Lo enuncio più esplicitamente: se (e sottolineo se, come recita la canzone di Mina) fossi posto a fronte della secca alternativa tra avallare una cattiva Costituzione e la sorte di un governo, personalmente non avrei esitazioni. E penso di non essere il solo.


Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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