
Il 16 aprile 1988, alla notizia del brutale assassinio, forse l'ultimo delle Brigate Rosse, di Roberto Ruffilli, in molti si interrogarono su chi fosse e perché i terroristi lo avessero individuato e ucciso. Per una tragica assurdità, furono proprio i brigatisti a comunicare con lucidità le motivazioni del loro gesto, nell'incipit dell'agghiacciante volantino con cui rivendicarono l'omicidio: «Sabato 16 aprile un nucleo armato della nostra Organizzazione ha giustiziato Roberto Ruffilli ideatore del progetto politico di riformulazione dei poteri e delle funzioni dello Stato nonché suo articolatore concreto».
Chi era Roberto Ruffilli? Non solo il «... mite uomo di pensiero e di studio...» che alcune biografie cercarono di accreditare nel tentativo di sminuire la portata politica dell'attacco subito. Egli era invece uno dei migliori quadri politici della Dc, uomo chiave del "rinnovamento". Per me, allora trentenne dirigente locale della Dc, non solo Roberto Ruffilli non era uno sconosciuto, ma, se non temessi di far torto alla sua memoria di «uomo di pensiero e di studio», nonché senatore della Repubblica, oserei dire che era un mito. Forse per la spietatezza delle modalità con cui fu consumato il delitto, o per l'assurdità inquietante che trasmettono i crimini commessi alla fine di una guerra, ne rimasi profondamente turbato.
Avevo letto e cercato di far tesoro dei suoi saggi, non mi perdevo nemmeno una delle sue interviste. Parteggiavo convintamente per le sue teorie nel dibattito del tempo sulla Grande Riforma Istituzionale (ancora siamo lì, fermi!) che, per esempio, lo opponeva alle teorie presidenzialiste di Giuliano Amato. Leggere Ruffilli mi ha sempre aiutato a riflettere su come le regole e le forme istituzionali, così come le loro riforme, non possano mai essere disgiunte dai diritti e dai doveri del vero arbitro della democrazia, il cittadino. L'attenzione costante a salvaguardare e valorizzare la potestà suprema del cittadino è stata indubbiamente la cifra della sua ricerca e della sua azione politica, eppure è stato limpidamente distante dal populismo, dall'equivoco della democrazia diretta, antipartitica e persino antiparlamentare, come purtroppo oggi si manifesta.
Nel venticinquesimo della sua tragica scomparsa, mi sorprende ancora la freschezza e il ricordo del suo insegnamento e, per tanti versi, l'attualità. Infatti, a non pochi quesiti della politica odierna, le sue analisi ispirano e suggeriscono ancora itinerari di riflessione, e quello che colpisce è la qualità delle sue risposte. Penso alla sua contestazione, talvolta anche dura, delle degenerazioni del Partito e del sistema dei partiti, della loro occupazione del potere e dei danni alla vita democratica che ne conseguivano, ma la risposta di Ruffilli partiva sempre dall'avvertenza che la democrazia in Italia è stata costruita dai partiti.
Nella sua denuncia c'era tutta la consapevolezza, il rispetto e la tutela del loro ruolo così come, non certo a caso, è affermato nell'articolo 49 della Costituzione. Riprendendo una battaglia che fu di alcuni illustri costituenti, si spingeva a sostenere, come oggi in molti, la necessità di una «regolamentazione accertabile» della vita e della struttura dei partiti. Davvero altra cosa rispetto al "sacro" furore con il quale quotidianamente e troppo semplicisticamente si propugnano politiche movimentiste e personalistiche, tendenzialmente plebiscitarie. Per Ruffilli questo era, e lo temeva, il rischio della "grande semplificazione". Mi ricorda tanto l'uso politico del web ai giorni nostri.
Il «cittadino come arbitro», il cittadino al centro del sistema politico: da qui Ruffilli sviluppava la sua analisi per la riforma dell'organizzazione dello Stato, del bicameralismo, del sistema di governo, di una nuova legge elettorale. Sono indubbiamente i punti, attualissimi, di una necessaria e irrimandabile organica revisione istituzionale. E ancora oggi penso che la completezza e la complessità di un disegno siffatto debba essere affidata alla competenza e l'autorevolezza di chi, come Ruffilli, in primo luogo si riconosce e vuole restare fedele ai principi ispiratori della Costituzione, altrimenti si rischiano l'improvvisazione e forse pericolosi avventurismi politici e istituzionali.


Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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