
La Chiesa che si riforma guarda alle origini
di Franco Monaco - da EuropaSu queste pagine, avevo auspicato un papa Francesco. Non sono stato il solo, non era necessario disporre di arte divinatoria. Non il nome di Bergoglio, ma un Papa così, che si ispirasse alla figura di San Francesco, era nell'aria. Un esito coerente con lo scossone, con la portata audacemente riformatrice immanente nelle dimissioni di papa Benedetto, da lui stesso definite «decisione grave».
Un gesto dai molteplici significati sui quali abbiamo avuto modo di riflettere: un atto di umiltà e di libertà che umanizza la figura del papa nel mentre confessa il venir meno delle sue forze; che sottintende la distinzione tra persona e ministero petrino; che trasmette l'idea che nessun uomo è indispensabile e che, come ciascuno di noi, persone comuni, a un certo punto deve staccare; che si può credere nell'investitura dello Spirito senza spingersi sino al carismaticismo di chi sacralizza l'uomo concreto che, pro tempore, esercita quel servizio. Pur essendo il più alto nella Chiesa. Un gesto, le dimissioni, che getta una luce nuova su un papa severo custode della dottrina, ma capace di introdurre una rottura che ha pochi precedenti nella storia millenaria della cristianità.
Che quel gesto rivestisse una portata audacemente riformatrice è testimoniato dalla circostanza che, alla vigilia e, presumo, durante lo svolgimento del Conclave, sono affiorati tutti, ma proprio tutti, i nodi irrisolti che affliggono la Chiesa nel nostro tempo. Da quelli che attestano i suoi limiti, la sua opacità, la sua manifesta decadenza e che occupano da qualche anno le cronache non edificanti offerte dai vaticanisti: carrierismo, rivalità e lotte di potere, finanze vaticane, pedofilia.
A quelli che concernono più largamente la vita e il governo della Chiesa nel nostro tempo: la nuova evangelizzazione, la collegialità, la riforma della curia, la condizione della donna nella Chiesa, il rapporto difficile con le nuove generazioni, la morale sessuale, le questioni etiche circa l'inizio e la fine della vita, i sacramenti a separati e divorziati. Intendiamoci: tutte questioni decisamente complesse, sulle quali nessuno dispone di ricette facili e che il nuovo pontefice non
risolverà come d'incanto.
E tuttavia questioni, questo merita notare, che sono state portate in superficie nella sede più alta e nell'occasione più solenne, quella dell'elezione del papa. Questioni troppo a lungo rimosse o esorcizzate. Questioni che furono poste all'attenzione della Chiesa dal cardinale Martini sia al tempo del suo ministero episcopale, sia soprattutto nell'ultimo tempo della sua vita, con parole insieme drammatiche e profetiche.
Parole ispirate a libertà evangelica, vero amore alla Chiesa e spietata onestà intellettuale. Come si conviene alla stretta finale dell'esistenza di ogni uomo, quale è anche un principe della Chiesa. Quando, riposte le pur ragionevoli remore prudenziali connesse a un alto ministero ecclesiastico, non si può più tergiversare, si è nudi e soli con la propria coscienza davanti a Dio. Dio e la coscienza: esattamente le due pietre di paragone evocate da papa Benedetto quando, spiazzando tutti, annunciò le sue dimissioni.
Ecco la chiave che getta una qualche luce su tre paradossi altrimenti inspiegabili: Martini e Ratzinger, pur così diversi sul piano umano e teologico, entrambi chiudono il loro ministero con parole e gesti ispirati ad audace riformismo e a radicalità evangelica; Ratzinger che, con le sue dimissioni, propizia l'elezione di quel Bergoglio che, a quanto si sa, fu il candidato a lui alternativo nel Conclave del 2005; Bergoglio che oggi accetta di assumere sulle sue spalle il fardello del ministero di Pietro dopo averlo allontanato da sé nella precedente elezione.
Nel frattempo evidentemente è intervenuto qualcosa. Ossia la consapevolezza di una crisi profonda della Chiesa che esige una sua radicale riforma in senso evangelico e conciliare. Non a torto, i commentatori, hanno osservato al microscopio le prime parole e i primi gesti di papa Francesco: innanzitutto la scelta del nome, che non poteva essere più eloquente per evocare un programma; poi l'esordio all'insegna della semplicità e della sobrietà; ancora, la preghiera e soprattutto il silenzio, così sideralmente lontano da certe chiassose liturgie venate di "papolatria" cui ci eravamo assuefatti; l'enfasi sul ministero episcopale come precedente e fondante quello petrino, con il triplice significato di un rapporto cristianamente vitale con il popolo di Dio a lui affidato, di una sollecitudine pastorale per la Chiesa particolare e di un primato pontificio da armonizzare con la collegialità episcopale. Non è il caso di indulgere al trionfalismo e all'adulazione.
Sarebbe in contrasto esattamente con quel registro francescano che il nuovo pontefice sembra voglia introdurre. Ma due osservazioni confortanti forse possiamo anticiparle. La prima: il consesso dei vecchi cardinali ha saputo sorprenderci, ha dato mostra di raccogliere quella domanda di radicale riforma che, attraverso molti segnali, si leva dalla Chiesa e dal mondo.
La seconda: a dispetto delle divisioni che attraversano il collegio cardinalizio e più in genere la gerarchia - talune sane e fisiologiche in un corpo vivo, di natura sua pluriforme, altre no - essi hanno saputo convergere subito e largamente (erano necessari i due terzi) su un candidato comune.
Circostanza che ci suggerisce una conclusione: la Chiesa e anche la sua alta gerarchia è un organismo vivo e responsabile, che, pur con i pesanti limiti che hanno segnato il suo passato recente, mostra di sapere reagire, di cogliere i segni dei tempi (anche quelli cattivi). Ma essa lo può fare se e in quanto si riforma come si conviene alla Chiesa, cioè ritornando alle sue più genuine sorgenti, quelle del Vangelo "sine glossa" di cui fu emblema Francesco. Del resto, ben oltre la disputa teologica sull'ermeneutica del Concilio tra "continuità" e "rottura" tematizzata da Ratzinger, tutti si conviene che la "rinascita" della Chiesa passa attraverso un suo ritorno alle fonti: Gesù Cristo e la comunità apostolica.
Come non rammentare di nuovo la provocazione dell'ultimo Martini che consigliava al papa di dare un taglio netto alle sovrastrutture ecclesiastiche e di disporsi a una sorta di nuovo inizio convocando nominativamente intorno a sé un manipolo di apostoli innamorati della fede e aperti al futuro? Qualcosa di più radicale della riforma della Curia romana...

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31 Maggio 2015
Postato da Redazione
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