
Il senso di responsabilità contro il voto di protesta. Per Rosy Bindi è tra queste due opzioni che si giocherà la partita, in questi ultimi giorni di campagna elettorale. La presidente del Pd, candidata capolista in Calabria, dice che «il fallimento della destra è sotto gli occhi di tutti, soprattutto nel Mezzogiorno», ma che l'avversario da battere, adesso, è «la tentazione che può esserci in tanti elettori di rinunciare, di dire sono tutti uguali, l'idea che non c'è niente da fare e che quindi è meglio astenersi o dare un voto di protesta, di rifiuto, un voto antisistema».
Qualcuno può anche pensare di votare Grillo per lanciare un segnale: non è legittimo?
«Il problema è che non si darebbe un segnale, si metterebbe a rischio la possibilità di far uscire il Paese dalla crisi di sistema in cui si trova. Io capisco la rabbia, la sfiducia, ma non è con le proposte irrealizzabili o pericolose di Grillo che si risolvono i problemi, con i suoi metodi antidemocratici, con la proibizione ai suoi candidati di andare in televisione, l'idea di sollevare un assessore perché incinta, il rifiuto di farsi porre delle domande».
Dice che è per questo che Grillo non è andato in tv?
«E perché altrimenti? Il suo modello è Piazza Venezia. Una volta c'era il balcone, adesso ci sono i palchetti, ma cambia poco. Grillo è capace soltanto di parlare a delle piazze che non lo interrogano, di sfruttare per suoi fini personali la rabbia che c'è in tante persone».
E però il Pd cosa offre a questi elettori delusi, sfiduciati, anche arrabbiati?
«Il Pd può legittimamente chiedere di avere fiducia nel rapporto che può esserci tra politica, istituzioni, e cittadini. Perché noi abbiamo dimostrato di essere credibili, perché tutto quello che abbiamo annunciato poi lo abbiamo fatto, perché si è vista tutta la differenza che c'è tra noi che parliamo di fedeltà fiscale, unità nazionale, uguaglianza e una destra che parla di condoni, di un Paese da dividere tra Nord e Sud, che ha teorizzato la disuguaglianza come fonte di ricchezza e, anche, una destra che ha fallito alla prova del governo».
Se è per questo anche il centrosinistra per due volte ha vinto le elezioni e per due volte non ha portato a termine il mandato degli elettori.
«Guardi, la verità è che noi le elezioni non le abbiamo mai vinte. La prima volta, nel '96, c'è stata la desistenza di Rifondazione comunista, che dopo due anni ha fatto cadere Prodi. E la seconda volta, nel 2006, non avevamo la maggioranza al Senato. È ora, per la prima volta, che possiamo vincere e che gli italiani potranno chiederci conto di quanto diciamo».
Non starete sottovalutando le capacità di rimonta della destra?
«È vero che Berlusconi ha un po' recuperato, ma la maggioranza degli elettori ha capito che per ottenere un vero cambiamento deve dare fiducia a noi. Io lo vedo in modo particolare in Calabria, dove la delusione nei confronti della destra è ancora più forte. Se il Paese in questi anni si è fermato, e anzi ha fatto anche passi indietro, il Mezzogiorno ha registrato un arretramento preoccupante e anche pericoloso, per colpa dei governi Berlusconi che hanno teorizzato la necessità di abbandonare a se stesso il Sud per far correre il Nord, teoria infondata, e dei governi regionali di centrodestra che sono stati complici di questa sciagurata operazione. Noi lo abbiamo scritto nel nostro programma che l'Italia riparte se riparte il Mezzogiorno, che vanno superate tutte le disuguaglianze, a cominciare da quella tra Nord e Sud, e saremo di parola».
Sempre che riusciate a ottenere la maggioranza anche al Senato...
«È chiaro che dobbiamo vincere, e vincere bene, perché non possiamo annacquare il nostro programma. Dopodiché non smentiremo la nostra linea, che è quella di ricercare una collaborazione con Monti. La cattiva predicazione di Grillo e Berlusconi non potrà che tradursi in Parlamento, con noi al governo, in una posizione irresponsabile, sfascista, mentre il Paese a questo punto richiede il massimo della responsabilità per approvare le necessarie riforme strutturali e la collaborazione di tutte le forze riformiste».
Il problema è che Monti non ritiene Vendola un riformista: l'alleanza Pd-Sel rimarrà anche dopo le elezioni?
«Certo, l'abbiamo scelta con le primarie e non è che si vince con Vendola e si governa con Monti. Non ci sono piaciuti gli attacchi al leader di Sel, e Bersani ha fatto bene a chiarire che sarà lui a dirigere il traffico. Il perno dell'alleanza è cioè il Pd, e di questo deve tener conto anche Vendola, che a me piace più quando fa l'uomo di governo che il capo di un piccolo partito».
Parlava di riforme strutturali da approvare: a cosa si riferisce?
«Riforme istituzionali come la diminuzione del numero dei parlamentari, una legge elettorale a doppio turno, che vanno affrontate subito e non lasciate per la fine della legislatura. Tra le priorità ci sono anche il conflitto di interessi e la riforma della giustizia. Poi bisogna prevedere qualche aggiustamento all'impianto del Titolo V, un ripensamento di tutti i grandi settori del welfare anche riprendendo in mano le riforme del governo Monti sulle pensioni e sul mercato del lavoro, una riforma del sistema fiscale e un pacchetto sui diritti civili».
E misure per rispondere nell'immediato alla crisi?
«Serviranno politiche keynesiane, investimenti pubblici per far ripartire l'economia e dare lavoro, partendo proprio dal Mezzogiorno, da opere pubbliche, scuole, investimenti con cui riqualificare il welfare. E poi dovremo affrontare il grande capitolo Europa, perché l'accordo siglato nei giorni scorsi a Bruxelles è la dimostrazione che l'Unione non si è ancora convertita né al Mediterraneo né all'obiettivo della crescita, che invece sono fondamentali per superare la crisi in corso».


Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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