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24/11/2012

I cattolici non hanno bisogno di un nuovo marchio
di Franco Monaco - da Europa


Con spirito amico ma, insieme, francamente critico, su queste pagine, mi ero rivolto al presidente nazionale delle Acli Olivero. Alcuni circoli Acli mi hanno invitato a incontri pubblici nei quali dare seguito a una discussione che evidentemente li attraversa. Richiamo sinteticamente i miei rilievi. In primo luogo, la contraddizione tra una iniziativa politico-elettorale e la cura per l'autonomia statutaria di associazioni di ispirazione cristiana quali le Acli e la Cisl che sono state e sono laboratorio di pluralismo politico.

In secondo luogo, il vistoso contrasto tra la sensibilità e la cultura proprie del cattolicesimo sociale e l'indole liberista di personalità quali Montezemolo con la sua Italia Futura. Terzo: l'enfasi cattolica sui cosiddetti principi non negoziabili e un connubio con forze e culture, la cui indole liberale conduce semmai a soluzioni legislative non esattamente in linea con tali attese.

Un rilievo, quest'ultimo, avanzato anche da altre realtà associative che hanno motivato così la propria presa di distanze. In verità, dietro tali dissensi si intuisce una preoccupazione più schiettamente politica e di schieramento. Quella di chi ha immaginato di piegare tale operazione centrista nella direzione di un centrodestra nominalmente più "cattolico" in una logica successoria rispetto al blocco berlusconiano in disfacimento. A rilievi di cui sopra, francamente non si è dato risposta. Si è replicato piuttosto a un'obiezione che, in realtà, non ha mosso nessuno. Si è osservato cioè che le stagioni alte della politica intestata alle personalità cattoliche più eminenti nella storia repubblicana - dalla Costituente a De Gasperi a Moro - hanno fatto perno su un fecondo dialogo e una cordiale cooperazione tra laici e cattolici.

Giusto, giustissimo. Sul punto, non si deve convincere noi che, nel passato recente, scontando incomprensioni sul fronte ecclesiastico, ci siamo adoperati per tenere il punto di preziose lezioni conciliari: la cura per la distinzione tra Chiesa e comunità politica, tra i mezzi e i fini propri dell'una e quelli dell'altra; il sereno ma fermo esercizio dell'autonomia responsabile dei laici cattolici in quanto politici e legislatori; la consapevolezza della distinzione tra principi etici non negoziabili e mediazioni politico-legislative.

Diciamolo con franchezza: i cattolici impegnati nel progetto e nel governo dell'Ulivo e dunque nel discernimento e nella mediazione politica che compete all'autonomia dei laici cristiani, in cordiale collaborazione con altri, non hanno sentito intorno a sé il calore di quell'associazionismo cattolico. Il pensiero corre, per esempio, al "family day", manifestamente mirato ad affossare una legge pur minimalista che disciplinasse le unioni civili: i legislatori cristiani furono oggetto di una forte pressione, ma la più parte delle associazioni cattoliche non li aiutò a custodire e difendere il senso/valore di sagge mediazioni.

Ancora: con il Concilio prima e, sul fronte della Chiesa italiana, poi, con il convegno ecclesiale di Palermo del 1995, bon gré mal gré, la gerarchia prese atto del carattere irreversibile del pluralismo politico tra i cattolici. Tale approdo accompagnò o più esattamente seguì la formazione di partiti politici postideologici imperniati appunto sulla cooperazione tra laici e cattolici, a destra al centro a sinistra.

Dunque, mi permetto di fare osservare ai todini di rito montezemoliano, che lo spirito cooperativo tra laici e cattolici, già operante come si è detto nel primo tempo della repubblica, lo è anche, e non da oggi, nel suo secondo tempo, dentro un po' tutti i partiti. Non è una geniale invenzione di questa stagione. Mi spiego: la giusta riposta a chi eccepisce, da destra e da sinistra, sarebbe quella di astenersi dalla pretesa di rappresentare più e meglio di altri la base cattolica, di fare uso parsimonioso di quelle insegne associative, di non spendere il nome di sigle gloriose dentro la competizione politica, di non accampare primogeniture. In definitiva, di guadagnarsi sul terreno proprio della politica, dei suoi valori e dei suoi programmi, l'apprezzamento e il consenso.

Ed è proprio la proposta in senso proprio politica della nascente aggregazione che non riesce chiara e leggibile. Del resto, i bene informati (alludo ai vaticanisti) ci spiegano che anche ai vertici della Chiesa si coltivano disegni diversi (segreteria di stato versus Cei). Sono ambienti che non frequento e non conosco. Né mi appassiona il retroscenismo. Ma la circostanza del pluralismo dentro gli stessi vertici ecclesiastici mi rafforza in una convinzione: si deponga l'enfasi su veri o presunti riferimenti cattolici e su sussurrati avalli ecclesiastici. Ci si prenda tutta intera la propria autonoma responsabilità laicale e politica e ce la si giochi in mare aperto, senza reti di sicurezza.

Come notava Moro: corriamo noi il rischio della nostra avventura politica. Già gli amici di "Verso la Terza repubblica" (con i quali, sia chiaro, vorrei che il Pd dialogasse, positivamente e dialetticamente), hanno la propensione a spendere politicamente ed elettoralmente il nome di Mario Monti, non si capisce se e quanto da lui autorizzati. Non sarebbe bello che, oltre all'uso di questo "brand" (!?), si aggiungesse quello del "marchio" della Chiesa e dell'associazionismo cattolico. Un patrimonio civile e religioso largamente apprezzato che non merita di essere ridotto e schiacciato dentro una lista elettorale. 

 

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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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