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12/10/2012

Elogio dell'antiberlusconismo
di Franco Monaco - da L'Unità


Secondo un luogo comune invalso anche a sinistra non si deve indulgere all'antiberlusconismo. Mi è chiaro il senso di quella raccomandazione: le ossessioni, comprese quelle virtuose, accecano lo sguardo e inficiano la lucidità dell'analisi; non si devono demonizzare le persone che, in buona fede,  sono incappate in quella fallace illusione; ci si deve meritare il consenso sulla base di una proposta declinata in positivo... Sono perfettamente d'accordo. Ma a una precisa condizione: che quella lunga stagione, politica e non solo, segnata dalla ingombrante ipoteca di Berlusconi, non sia consegnata all'oblio. Che la lezione che dobbiamo ricavare da essa non sia precipitosamente archiviata. Se ben inteso, a mio avviso, l'antiberlusconismo è una virtù. Per più ragioni.

La prima è che l'uomo, con il suo smisurato sistema di potere, è ancora tra noi. Spesso ci si scorda che al Senato egli ancora dispone della maggioranza, che continua a esercitare uno straordinario potere attivo o di interdizione, che ancora da lui, dalla sua iniziativa e persino dalle sue esitazioni, dipende la sorte della destra politica italiana, che il volume di fuoco dei suoi media tuttora non è minimamente intaccato, che il suo potere economico è ancora  enorme e le sue disponibilità finanziarie pressoché infinite. Come attestano le indagini giudiziarie rosa e nere che lo riguardano. Ignorarlo sarebbe un errore ottico letale.

Seconda ragione: è d'obbligo tenere fermo il giudizio di valore ed esercitare l'arte della distinzione rispetto al ciclo berlusconiano. Taluni nuovisti anche a sinistra teorizzano che dovremmo metterci dietro le spalle la coppia berlusconismo-antiberlusconismo. Quasi fossero due mali equivalenti. Quasi che avere contrastato politicamente e culturalmente il Cavaliere fosse stato un errore o comunque un'esagerazione, un comportamento di stampo estremistico. Sul punto, ricordo sempre la reazione insolitamente vivace e risentita di un uomo per indole mite e controllato come Leopoldo Elia, che respingeva l'accusa di antiberlusconismo come una sorta di ricatto dialettico irricevibile, come la più stupida e immotivata delle imputazioni: che colpa ne abbiamo, notava, se quel concentrato di anomalie che minano la democrazia e la vita morale e civile si condensa nominativamente in una persona, che porta un nome e un cognome? E' un fatto, non una nostra costruzione artificiale.

Vi è una terza ragione: l'oblio e la rimozione delle distinzioni conduce a una narrazione fuorviante del passato politico recente che ha messo radici anche tra noi. Mi spiego: tutti i governi della cosiddetta seconda Repubblica andrebbero inscritti sotto la cifra del fallimento. Una falsificazione cui invece dovremmo reagire. Come si può onestamente sostenere che i governi nei quali figuravano Prodi, Ciampi, Amato, Napolitano, Padoa Schioppa, Bersani possano essere giudicati alla stessa stregua dei governi Berlusconi? Tale fuorviante narrazione non è priva di conseguenze per il presente e per il futuro. La sbrigativa e illusoria ricetta della rottamazione di tutto e di tutti affonda qui le sue radici. Ignora un paio di dettagli: grazie all'Ulivo la sinistra ha assunto per la prima volta la responsabilità del governo nazionale dopo mezzo secolo e ha portato l'Italia in Europa.

Ancora, la rimozione dell'antiberlusconismo e cioè della consapevolezza della marcata unicità del caso Berlusconi, non a caso osservato con un misto di curiosità, allarme e commiserazione fuori dei nostri confini, non è priva di conseguenze sul piano della visione del sistema politico. Si è inclini a decretare il fallimento del bipolarismo, cioè di una sana democrazia competitiva, anziché a considerare che appunto a quella gigantesca anomalia si deve il suo cattivo, concreto funzionamento. E di conseguenza a rigettare il bipolarismo proprio quando esso, depurato dall'ipoteca di quell'anomalia, potrebbe dispiegarsi positivamente. O addirittura si è spinti a rinunciare alla politica democratica tout court per consegnarsi alla tecnocrazia, al mito del pensiero unico dal quale cavare la ricetta unica appaltata a chi dispone dei saperi specialistici.

Infine, smarrendo la precisa memoria della peculiarità del fenomeno Berlusconi, si può abbassare la guardia sui due profili di esso che possono perfettamente sopravvivere all'uomo e alla sua parabola politica. Cioè le tossine del berlusconismo che più o meno consapevolmente si sono depositate in noi. Due in particolare: il leaderismo, il cesarismo, le scorciatoie populiste che, pur sotto varie vesti, hanno preso corpo ben oltre i confini del suo partito e del suo campo; una concezione della vita prima e più che della politica ossessivamente mirata al successo, al denaro, al potere personale e di gruppo. Può sembrare strano, ma, a mio avviso, non abbiamo riflettuto ancora abbastanza sulla devastazione prodotta dalla concretissima idea-forza inoculata da Berlusconi: quella che con il denaro ci si possa comprare tutto, tutti e tutte. Giustamente ci siamo scandalizzati per i bunga bunga di un uomo di Stato, per le donne ridotte a merce e a tangente. Ma non ci scandalizziamo più abbastanza per la legione di uomini e donne che siedono in parlamento, cioè in una istituzione che riveste una sua sacralità, pronti a servire le cause più invereconde.

Il voto sulla nipote di Mubarak è solo la punta di un iceberg di diciotto anni di vita parlamentare ostaggio degli interessi materiali e delle  spericolate vicissitudini di un uomo. Suscita sconcerto e irritazione lo spettacolo dei docili e spesso mediocri servitori da lui miracolati con posti, denaro e potere che oggi, a fronte della sua declinante parabola, cercano di mettersi in salvo. Così pure, lo confesso, mi lasciano basito i giovani "formattatori" del Pdl. Di sicuro io sono all'antica e un po' bacchettone, ma ancora non riesco a non provare sbigottimento di fronte a centinaia di parlamentari votati al servilismo e a giovani che tutt'ora guardano a Berlusconi come a un modello. Vi rilevo un che di mostruoso, l'ennesima testimonianza della profondità e dell'estensione di quelle tossine.

 

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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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