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10/10/2012

Se vincesse Renzi…
di Franco Monaco - da Europa


Sostengo senza incertezze e con convinzione Bersani. Per le sue sperimentate qualità personali e politiche, per la sua cultura di governo, perché la sua piattaforma politica mi è nota. Essa è fissata nei deliberati di partito e nell'azione quotidiana che abbiamo costruito insieme come Pd negli anni nei quali egli ha retto la segreteria.

Sì, diciamo pure che Bersani interpreta l'usato sicuro in cui mi riconosco. Dunque spero che egli vinca le primarie. Primarie aperte che, nonostante diffuse resistenze dentro il gruppo dirigente del Pd, Bersani ha voluto, nella convinzione che, per quanto non risolutivo, quello strumento di partecipazione sia un mezzo, uno dei pochi nelle nostre mani, per contrastare lo spread che separa i cittadini dalla politica. Dunque, il mio sì a Bersani è, come usa dire, un sì in positivo, per la fiducia che nutro nelle sue attitudini a guidare il futuro governo. Tuttavia, penso non sia fuori luogo ragionare in termini comparativi, considerando razionalmente e responsabilmente l'ipotesi che vinca Renzi. Sia perché, secondo osservatori e analisti, la cosa è perfettamente possibile; sia perché, nonostante siano in campo altri candidati, oggettivamente la competizione si va polarizzando intorno alla coppia Bersani-Renzi.

Devo confessare una mia diffidenza "a pelle" per Renzi. Un elemento emotivo che vorrei riuscire a vincere, ma del quale devo dare ragione a me stesso. Quando lo si bolla sbrigativamente come berlusconiano si indulge a una forzatura, sotto il profilo di una distaccata lettura politica. È vero piuttosto che si avverte un'assonanza con il Cavaliere dal punto di vista del modello culturale e dello stile comunicativo. Visibili e vistosi sono la molla dell'ambizione personale, l'acceso spirito competitivo, l'approccio personalistico, il mito giovanilistico, la leggerezza. Persino il modulo dello "one-man show" ostentatamente opposto alle classiche assemblee politiche ci richiama format già visti. Sono tutti profili che, in me, lo ribadisco, suscitano una istintiva diffidenza, ma - lo faccio osservare a me stesso - non sono di per sé razionalmente, politicamente decisivi. Di più: è forse una differenza culturale e generazionale che ci separa. I giovani del mio tempo, specie se di formazione cattolica, erano educati quasi a colpevolizzare le proprie ambizioni di ascesa sociale o a dissimularle ipocritamente. E, ne convengo, non era cosa buona. Ma appunto vorrei "metterla in politica".

Non ho difficoltà a riconoscere che Renzi sarebbe un candidato competitivo alla premiership nelle elezioni politiche. Per il suo profilo personale e per il suo posizionamento politico. Quali dunque le mie riserve? Essenzialmente di quattro ordini. Il primo verte sull'asse politico-culturale della sua proposta, quello di una sinistra subalterna agli schemi liberali e liberisti che già abbiamo praticato senza successo. Tempo fa lo stesso Romano Prodi, sulle colonne del Messaggero, abbozzò un'autocritica sul punto, evocando la stagione della Terza via, del "nuovo centro" tedesco e del "new labour" blairiano. Anche perché è decisamente cambiata la fase. Quello era un ciclo espansivo nel quale poteva bastare fare appello alle risorse e al dinamismo autonomo di economia e società. Oggi non si può disdegnare un più attivo ruolo di regolazione e di indirizzo dei pubblici poteri, non solo sul versante dei sistemi di protezione sociale, ma persino nella politica industriale. Obama docet. Rinunciando a questo, meglio sarebbe puntare dritti a un nuovo governo Monti, che non farebbe meno bene di un governo Renzi. Del resto, non è un mistero che settori dell'establishment non puntano su un governo Renzi, ma immaginano di servirsi di lui per scongiurare un governo politico di centrosinistra e propiziare così un Monti bis sostenuto di nuovo da una grande coalizione.

Secondo: la politica delle alleanze. La logica sottesa alla proposta di Renzi conduce naturalmente a riproporre lo schema dell'autosufficienza del Pd, che già abbiamo sperimentato nel 2008 con gli esiti infausti che conosciamo. Quando si smontò l'Ulivo in nome di una velleitaria corsa solitaria. Possiamo così scrivere nei nostri dispositivi che, quale che sia il candidato vincente, tutti i concorrenti si impegnano a sostenerlo. Ma è di tutta evidenza che la costruzione di una alleanza di centrosinistra sarebbe sommamente problematica qualora vincesse Renzi. Mettiamola così: tra Vendola e Renzi solo Bersani può rappresentare quel baricentro, quell'elemento di equilibrio che può tenere insieme un'alleanza di centrosinistra che associ cultura di governo e tensione all'alternativa, responsabilità e cambiamento.

Terzo: è sbagliato agitare la minaccia di una scissione del Pd, ma sarebbe ipocrita misconoscere le tensioni che, nel caso di una vittoria di Renzi, si manifesterebbero dentro un partito di centrosinistra e non centrista, comprensivo di sensibilità e tradizioni genuinamente di sinistra, laiche e cattoliche. E noi non abbiamo solo bisogno di vincere una pur importantissima prova elettorale, ma abbiamo altresì bisogno del Pd. Un partito cui alcuni di noi attendevano operosamente da vent'anni e che ora, pur con i suoi limiti, è una realtà. Di sicuro la meno esile e precaria del nostro sistema politico. Un partito essenziale sia per governare come si conviene, sia perché la storia non finisce nel 2013. Una preoccupazione, questa, che non può non nutrire chi crede nel Pd e, in genere, nella democrazia dei partiti. Da analista, Arturo Parisi ha pronosticato un big bang nel caso di un successo di Renzi. Uno scenario che non può non fare problema a chi si ispira all'etica della responsabilità.

Quarto (e per me argomento decisivo): giustamente si osserva che bisogna conquistare gli elettori indecisi e quelli del fronte avverso. D'accordo, ma a condizione che siamo noi a convincere loro delle nostre buone ragioni e non che noi le si abbandoni per inseguirli. Che li si faccia salire sul nostro autobus ma senza cambiare la rotta e la meta. Qui, me ne rendo conto, sta una discriminante decisiva. Persino una visione della politica. Vincere è importante, ma è solo un mezzo, non il fine. Chi inscrive la politica dentro un orizzonte di valori che la trascende può anche perdere. Anzi, deve essere disponibile e pronto a perdere se il prezzo fosse quello di perdere se stessi.

 

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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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