
Vale la pena entrare nel dialogo sulla sinistra italiana avviato su l'Unità con gli interventi di Mario Tronti e Nichi Vendola, e proseguito ieri con Michele Prospero. È un'occasione per riflettere sulle ambizioni del Pd a un tornante davvero cruciale per il futuro della democrazia in Italia e nel mondo. Mi riconosco nella valutazione della crisi economica prodotta dal paradigma neoliberista che ha stravolto, in senso regressivo e autoritario, i connotati delle democrazie sociali europee. Così come condivido l'esigenza di mettere in campo una vera alternativa culturale e politica che abbia il sigillo della radicalità, nel senso etimologico della parola, e perciò sia capace di incidere profondamente su un sistema che in molti ormai considerano non più sostenibile.
Siamo in grado di avanzare questa alternativa e farla diventare proposta credibile e vincente di governo? Penso di sì, a patto di riconoscere e far vivere, sul piano delle idee dell'azione politica, la discontinuità-novità costituita dal Partito democratico. Non vorrei che il Pd restasse inchiodato a un confronto tra ex sulla natura della sinistra o sull'eterna contrapposizione tra riformisti e rivoluzionari. Un dialogo che ha il suo fascino e un suo interesse politologico anche se forse un po' retrò, ma che a mio avviso rischia di smarrire la vera posta in gioco: quella di elaborare un nuovo paradigma culturale e politico. Un compito difficile se si resta prigionieri di un'unica tradizione di pensiero, se si resta confinati nella storia della sinistra post comunista.
Non partiamo da zero e come democratici possiamo rivendicarlo, senza arroganza. La nascita del Pd ha infatti rappresentato la presa d'atto, coraggiosa e lungimirante, dei limiti teorici e storici delle tradizioni politiche e dei partiti del riformismo italiano, di matrice socialista, cattolica e liberale. Quando abbiamo dato vita all'Ulivo non abbiamo semplicemente cercato una nuova alleanza elettorale. Ci siamo invece rispettivamente riconosciuti come non più autosufficienti e abbiamo cercato di superare le nostre arretratezze culturali. Lo abbiamo fatto nel lontano '96 con la consapevolezza che una risposta, davvero alternativa al "pensiero unico" della destra trionfante nel mondo presupponeva una forte discontinuità - nella concezione della democrazia, nel rapporto tra partiti e Stato, tra partiti e società, nel welfare e nelle politiche economiche, nella concezione dell'Europa e nelle relazioni internazionali - sia con la socialdemocrazia che con i partiti cristiano popolari e conservatori.
Resto convinta che la scommessa di quel nuovo inizio sia stata feconda e il Pd può esserne l'artefice. Il che non significa pensare il nostro partito come autosufficiente, chiuso in se stesso. Siamo un soggetto plurale e vogliamo essere un partito aperto, che si lascia attraversare dalle domande dei cittadini, che raccoglie le spinte più esigenti e innovative che vengono dalla società. Che restituisce alla politica la funzione primaria di governo dei processi di trasformazione del mondo e ai partiti quella d'interpretare la realtà ed elaborare un progetto di cambiamento. Un partito di centrosinistra (senza trattino) che non deve pararsi alla sua sinistra o alla sua destra con faticose alleanze, simili alla vecchia Unione.
Tornare a governare il paese non può essere una smentita dell'innovazione e del processo politico che abbiamo avviato con il Pd. Sarebbe come tornare alla "gioiosa macchina da guerra", la rinuncia alle nostre ambizioni e al cammino che abbiamo fatto insieme. Il Pd nasce per parlare a tutta l'Italia, non solo a una parte, e può avanzare una proposta di coalizione perché ha già realizzato al proprio interno la sintesi tra radicali e moderati, tra sinistra e centro. Il sostegno esigente che oggi assicuriamo al governo Monti non mi fa velo nel ritenere questa esperienza una fase di emergenza, del tutto transitoria. Mentre incalziamo l'esecutivo sul terreno di una maggiore equità e di un impegno più stringente per la crescita e l'occupazione, noi affiniamo la nostra proposta programmatica e prepariamo la competizione con il centrodestra. Alle prossime elezioni non ci si va né con le larghe intese né con riedizioni di governi tecnici.
A differenza di Tronti, penso che la destra populista sia ancora corposamente tra noi. Ancora dobbiamo sconfiggerla definitivamente. E da Vendola mi distingue forse un di più di preoccupazione circa i guasti profondi ed estesi, una vera e propria devastazione, prodotta dal lungo ciclo berlusconiano sul piano dalla qualità morale, sociale e democratica della convivenza. Ecco perché, pur essendo perfettamente consapevole delle differenze che separano le forze progressiste da quelle moderate di centro, penso sia necessario un patto per la ricostruzione economica, civile e morale del Paese. Noi però non annacqueremo il nostro progetto per l'Italia, le nostre proposte per il lavoro, i giovani, le donne, i diritti di cittadinanza e l'Europa, in funzione di un'alleanza con Casini e i moderati.
Amo la nostra Costituzione e la difendo dagli assalti ripetuti di Pdl e Lega. Ma sarebbe un errore intestarla solo a noi. È un patto di convivenza, largo e inclusivo. È bene e giusto che con le forze che si riconoscono in un comune ethos costituzionale, pure politicamente distinte da noi, si faccia un tratto di strada comune. Anch'io, come Tronti, penso che la prossima legislatura debba avere una funzione costituente. E non solo per battere i populismi di vario rito e l'antipolitica che li alimenta e ripristinare una democrazia costituzionale degna di questo nome. Se non riusciremo a condividere la radicalità dell'alternativa, se non sapremo allargare il consenso anche alla ricostruzione delle fondamenta economiche e sociali dell' Italia e dell' Europa, sarà davvero difficile uscire dalla crisi con un nuovo modello di sviluppo più giusto, più inclusivo, più umano. E il Pd starà in questa impresa con l'ambizione di pensare alla nuova casa comune dei democratici in Europa e nel mondo.

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Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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