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24/5/2012

Un gioco da ragazze
di Rosy Bindi


Testo del messaggio inviato in occasione della presentazione del libro di Marina Terragni "Un gioco da ragazze - Come le donne rifaranno l'Italia" (Rizzoli).


Cara Marina, gentili ospiti, sono davvero dispiaciuta di essere così vicina a voi - Montecitorio è a pochi passi - e non poter essere presente. Avevo accettato con piacere l'invito di Marina ma questo pomeriggio sono vittima, come voi, dei tempi distorti della politica. Il calendario dell'Aula è cambiato, i tempi della seduta si sono allungati oltre il previsto, e non posso sottrarmi ai miei obblighi istituzionali di presidenza dell'Aula.

So che questo breve messaggio non potrà rimpiazzare la vivacità e la fecondità del confronto che avrei voluto avere, ascoltando le vostre riflessioni. Credo che questo sia un tempo in cui le donne che fanno politica avvertono più che in passato la difficoltà di muoversi in uno spazio e in un luogo tenacemente occupato e presidiato dagli uomini. È più difficile perché lo scarto che si è consumato tra la politica e i cittadini è molto grande e il fastidio che questa parola, come quelle di "partito", "parlamento", "istituzioni" provoca tra l'opinione pubblica è così radicale da non permettere più di distinguere tra buona e cattiva democrazia, tra buona e cattiva politica. Tutti sono indistintamente messi sul banco degli imputati.

Non so se sia vero il paradosso che Marina suggerisce: «Meglio farà il governo Monti per rimettere in sesto il Paese e più si allargherà il gap tra partiti e cittadini». Di certo, se non ci sarà una profonda rigenerazione del sistema, è molto alto il rischio di una deriva antidemocratica, per quanto in forme inedite rispetto a quelle su cui da sempre fa leva la destra italiana. Così come il rischio di vanificare quello che le donne in politica possono e vogliono fare. Il pericolo maggiore di questa crisi mi sembra quello di accentuare l'estraneità delle donne alla politica che ha caratterizzato il nostro ambivalente rapporto con la democrazia: forte partecipazione al voto, fin dalle prime elezioni a suffragio universale, insieme al fastidio e alla diffidenza per i meccanismi del potere. Siamo state tenute ai margini per la misoginia dei partiti ma anche perché troppe hanno preferito stare altrove.

Nel suo libro Marina, giustamente, sostiene che ormai l'estraneità delle donne alla politica, che è stata utile per conservare e coltivare la nostra differenza e uno sguardo critico sui limiti del sistema, può costarci molto cara. E non penso solo alle donne. Può costare cara al Paese. E se c'è da rifare l'Italia, mi pare un buon punto di partenza la consapevolezza, di cui questo libro è una delle voci, che senza di noi non c'è cambiamento reale. Ha ragione Alessandra Bocconetti: la presenza delle donne è una presenza civilizzatrice. Vorrei sottolineare il valore concreto della parola presenza: solo più donne in politica possono cambiare la politica. Sono anch'io convinta di quello che sostiene Michelle Bachelet, l'ex presidente del Cile: «Quando una donna fa politica cambia la donna, ma quando tante donne fanno politica cambia la politica».

Nei ballottaggi della scorsa settimana dei 100 nuovi sindaci eletti solo nove sono donne, e non mi pare che 116 nuove sindache siano un risultato soddisfacente. Piuttosto è la dimostrazione che la battaglia del 50% di donne in lista non basta a garantire una rappresentanza paritaria. Abbiamo avuto tante donne in lista ma troppo poche elette. Bisogna affiancare al 50 e 50 la doppia preferenza, maschile e femminile, come abbiamo previsto nella proposta di legge approvata alla Camera e ora all'esame - speriamo rapido - del Senato. Il tema della rappresentanza, che sta al cuore del libro di Marina, è la questione cruciale di questo tempo.

Dobbiamo metterci in gioco. Quel gioco delle ragazze che mi pare un titolo felice e azzeccato per parlare in modo nuovo del potere e della politica. Un modo al femminile, capace di aprire nelle stanze del potere il varco alla vita reale e a una politica non più subita secondo i codici maschili e invece concretamente agita dalla creatività delle donne. Ma il gioco delle ragazze, mi sembra anche il gioco di Marina e della sua felicità di scrivere - che sarà anche una fatica ma bella e appagante - sotto l'urgenza di una riscoperta della politica che viene con l'esperienza delle elezioni a Milano e del movimento "Se non ora quando".

Le donne, e penso che anche molti uomini lo sappiano, hanno contribuito in modo determinante alla svolta che si è prodotta nella primavera del 2011 (con il voto delle amministrative e i referendum sui beni comuni) e che ha accelerato la fine del governo Berlusconi. E adesso, come continuare? Come fare nuovi passi avanti in un tempo di crisi della democrazia, della politica, della rappresentanza ? I nodi da sciogliere sono tanti: il lavoro che non c'è o è precario (l'Istat proprio l'altro ieri ci ha riconsegnato l'immagine di un Paese con un tasso inaccettabile di disoccupazione e inattività femminili). Gli stereotipi che dilagano sui media, la violenza contro le donne (e non abbiamo forse abbastanza riflettuto sul fatto che il bersaglio dell'attentato a Brindisi, qualunque sia la sua matrice, erano delle giovanissime donne). La fragilità della famiglia resa più acuta dalla nuova debolezza del sistema di welfare e, infine, l'intreccio mortificante tra potere-denaro e sesso, che ha dominato la scena dell'Italia berlusconiana e di cui ancora non ci siamo liberati.

C'è da restare paralizzate di fronte all'impresa del cambiamento. Nel suo libro Marina non si fa prendere dal panico e in qualche modo scavalca l'ostacolo con un appello a tutte le donne: far leva sulla nostra libertà e la nostra differenza, senza alcuna tentazione di autosufficienza. In questo appello non c'è nostalgia di separatezza, come non ce n'è nel movimento "Se non ora quando". Piuttosto la consapevolezza che per cambiare le cose e l'ordine costituito del mondo che ci sta conducendo al disastro (ambientale, economico, sociale) sono necessari - e molti uomini cominciano a convincersene - un nuovo modo di fare e di stare in politica che può nascere proprio dall'esperienza delle donne. Anch'io ne sono convinta. Una politica che conosce i propri limiti, non assolutizzante, attenta alle ragioni profonde della vita, alla solidarietà e all'equità, consapevole della dignità e dei diritti della persona, autonoma e autorevole di fronte al mondo degli interessi economici. Una politica fatta da donne e uomini e non certo la fuga dalla politica.

Non so se riusciremo a cambiare la legge elettorale, una delle priorità di questo momento. È suggestiva la proposta di Marina dello sciopero elettorale, nel caso di sopravvivenza del porcellum. Ma non la condivido. Credo che ci dovremo battere fino all'ultimo minuto utile per cambiare regole che hanno fatto molto male alla politica e al Paese. E in questa battaglia sarà importante - per le poche che sono in Parlamento e nei partiti - la forza e il sostegno di tutte le altre donne.

Un saluto a tutte e grazie.

 

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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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