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24/5/2012

E se il nuovo fosse il vecchio Ulivo?
di Franco Monaco - da L'Unità


So bene di incappare nella facile accusa di coltivare sterili nostalgie e di riuscire noioso. Ma provo a spiegare l'interrogativo: e se la strada da battere fosse quella del vecchio Ulivo? Vecchio inteso come quello delle origini, del primo Prodi. Le risultanze della recente prova amministrativa sono chiare e agli atti: la disfatta del Pdl, da ascrivere al suo fallimento alla prova del governo e non, come se la raccontano, al sostegno dato al Monti; la debacle della Lega sia perché associata a quel governo inetto e persino imbarazzante, nonché a motivo delle vergogne della family bossiana; il successo del movimento 5 stelle; l'alto astensionismo; la vittoria del centrosinistra e del Pd in esso, che si misura sul parametro delle amministrazioni locali conquistate al centrodestra.

Fissati i suddetti elementi, è utile scavare nelle dinamiche di sistema. Anche qui solo un cenno: la chiusura del ciclo forza-leghista che, a partire dal nord, ha dominato a lungo il paese; la frammentazione spinta del sistema della rappresentanza con la proliferazione di esperienze civiche e l'indebolimento di tutti i partiti o parapartiti nazionali ad eccezione del Pd; il dilagare del populismo che tuttavia assume fattezze e direzioni diverse, attestate da flussi elettorali traversali e imprevedibili, spesso ignari della discriminante destra-sinistra; una domanda di nuova politica, meno ideologica e più affidata al protagonismo dei cittadini.

Che lezione ne deve ricavare il Pd? Di sicuro esce sconfitta la vecchia, pretesa autosufficienza nel quadro di una radicale semplificazione del sistema politico in senso bipartitico. Anche perché nel campo avverso si sono prodotte macerie. Una pretesa, quella dell'autosufficienza, che ha avuto corso nel primo Pd, in dichiarata discontinuità con l'Ulivo e con la sua vocazione coalizionale e tutta mirata all'obiettivo (mancato) di sfondare al centro. Da quello scenario e da quella strategia sembra trascorso un secolo. Così pure esce sconfitta la prospettiva strategica che tutta si affidava all'alleanza con i partiti di centro e segnatamente con l'Udc di Casini cui consegnare la leadership.

Un disegno sconfessato dagli elettori che hanno drasticamente ridimensionato le ambizioni di un centro mobile non immune da derive opportunistiche.  Elettori i quali, alla ricerca di novità e discontinuità, non potevano dare credito a Casini e alla sua Udc. Espressioni di un vecchio ceto politico e di pratiche non da terza ma da prima Repubblica. Per farla breve la lezione è che non si viene a capo dell'impasse, non si offre un'alternativa convincente al paese e allo stesso sistema politico con presuntuose velleità egemoniche o facendo ricorso a scorciatoie politiciste.  La situazione è decisamente più complessa e dunque altrettanto complessa ha da essere la proposta da mettere in campo.

Come ho anticipato, a mio avviso, si tratta di riprendere il filo del primo Ulivo. Non la replica meccanica di esso - da allora molte cose sono cambiate, in Italia, in Europa, nel mondo - ma la sostanza della sua ispirazione e delle sue caratteristiche qualificanti da ritrascrivere creativamente dentro le nuove coordinate. Ne rammento i tratti salienti. Il primo e più fondamentale era proprio quello che poi fu sconfitto. La scommessa meno riuscita dell'Ulivo. Quella di una democrazia e di partiti restituiti al protagonismo dei cittadini. Come non rammentare certi aforismi che allora ci accompagnarono: "restituire lo scettro al principe" (inteso come cittadino), "fare il cittadino-elettore arbitro" (cioè decisore) di parlamento e governo? Dopo la debacle e la delegittimazione dei partiti del primo tempo della Repubblica si aprì una finestra di opportunità (un po' per saggezza, un po' per necessità i partiti fecero un mezzo passo indietro), ma qualche anno dopo quella finestra fu richiusa. Quel problema, in forme nuove, è ancora tutto intero davanti a noi.

Secondo tratto: quello dell'apertura e della novità. Come non considerare che è questo il senso della prepotente domanda che si è manifestata nella recente prova elettorale? Movimenti nuovi, candidati nuovi o comunque segnalatisi per alterità o opposizione ai partiti nazionali e al loro ceto politico. Terzo elemento del vecchio e nuovo Ulivo: la sua attitudine a porsi umilmente e generosamente a servizio di un campo di forze civiche e politiche. Forze diverse e tuttavia connotate da un chiaro segno democratico e progressista, comunque nitidamente alternative allo schieramento conservatore. Non assemblaggi eterogenei, non alchimie politiciste.

Un Pd così vivrebbe la vittoria di candidati espressi da formazioni alleate non come una sconfitta, ma come la vittoria di tutta la coalizione e dunque anche la propria. E magari, in sede di primarie, avrebbe l'avvertenza di non mettere su la maglietta di partito al proprio candidato, facendo del male a lui e a se medesimo. Infine un partito coalizionale non subalterno al dogma e alle ricette liberiste, non ostaggio dell'ossessione di inseguire l'elettorato moderato di centro. Una strategia figlia di una visione statica e semplicistica della dinamica politico-elettorale. La virtù della moderazione intesa come arte della mediazione e cultura di governo può perfettamente coniugarsi con una esigenza di radicalità negli ideali e nei programmi. Sembra semmai questo il segno dominante della nuova domanda politica.

Se le cose stanno così, dovrebbe riuscire ancora più chiaro quanto inadeguata ed eccentrica fosse la bozza di legge elettorale in cantiere sino alla vigilia del voto. Non solo e non tanto perché la frammentazione postula una regola elettorale che la contrasti in nome della governabilità. Ma prima ancora perché quell'impianto rispondeva al proposito di rimettere tutta intera la decisione circa maggioranze e governi alle transazioni tra i vertici dei partiti a urne chiuse. Alle spalle dei cittadini elettori, grazie a una delega in bianco conferita ai professionisti della politica. Sarei curioso di trovare qualcuno che provasse a spiegare ai cittadini una tale ricetta, ammesso che non se lo mangino...
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  • Perplessità
    Lasciato da Stefano Andreetta il giorno 25 Maggio 2012 alle 10:49

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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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