
Attorno al disegno di legge sulla riforma del mercato del lavoro si sta alzando un polverone che rischia di determinare un complessivo disorientamento. La presidente uscente della Confindustria l'ha definita «un testo pessimo». La stessa opinione, pur con motivazioni opposte, è espressa dal segretario della Fiom. Tutti i sindacati, e i diversi gruppi che ambiscono a rappresentare l'area vasta e molteplice del lavoro instabile, lamentano l'esiguità delle misure dirette a contrastare la precarietà e le molteplici barriere che impediscono l'accesso a un lavoro decente, in specie dei giovani. Al contrario il Pdl annuncia battaglia per rendere ancora più flessibili le forme di assunzione. Sembra che alla fine sia rimasto solo il Pd a difendere il punto (difficile) di equilibrio faticosamente raggiunto.
Cerchiamo quindi di mettere le cose in chiaro. Il governo ha commesso due errori. Il primo è stato quello di avere caricato di enfasi la modifica dell'articolo 18, quando invece si doveva mettere in primo piano il problema di chi cerca lavoro e non lo trova, o lo trova pessimo, precario e di scarsa qualità, e di chi il lavoro lo sta perdendo a seguito della recessione in atto. Il secondo è stato nel non perseguire la ricerca di un accordo di fondo con le parti sociali, nella convinzione che una iniziativa unilaterale del governo potesse essere più apprezzata dai mercati finanziari. Il che è risultato, alla resa dei conti, illusorio.
Nel merito il testo si presta a giudizi ambivalenti. Nella parte relativa all'accesso al mercato del lavoro il messaggio sul ritorno alla figura prevalente del contratto a tempo indeterminato è giusto, e va in controtendenza rispetto alla legislazione delle destre degli ultimi dieci anni. Ma sul piano operativo le soluzioni sono molto carenti. In primo luogo dal punto di vista della estensione delle tutele verso l'area del lavoro cosiddetto para-subordinato e falsamente autonomo (collaboratori e partite Iva). Qui le misure sono del tutto inadeguate e la spiegazione sta nel fatto che la riforma si fa «a costo zero».
Quanto alla modifica dell'articolo 18 gli scontenti trasversali si sommano. Per alcuni è stata gravemente manomessa l'«intangibilità» della norma, per altri, al contrario, la riforma sarebbe insufficiente in particolare perché si dà troppo potere al giudice del lavoro. Questa schizofrenia di valutazioni è sintomatica dello stato del Paese. Assomiglia al tema del contrasto alla criminalità: a seconda dei casi si chiede severità delle pene ovvero svuotamento delle carceri.
Anche qui è bene chiarire. Nessuno auspica che tutte le controversie di lavoro siano decise dal giudice. Ma in uno Stato di diritto non è che si può abolire la giurisdizione, in nome di improbabili ricerche che documentano la «lotteria dei giudici» nei casi di licenziamento. Tanto varrebbe allora abolire la giurisdizione penale, dato che in molti casi, su vicende clamorose (basti citarne una: il caso Andreotti) tra i diversi gradi si sono verificare decisioni contrastanti. Il punto è un altro: prevedere che sia il giudice, in ultima istanza, a decidere tra indennizzo e reintegrazione di fronte a un licenziamento ingiustificato rafforza la posizione contrattuale del lavoratore. Sarà lui, il lavoratore, a decidere se accettare l'indennizzo o perseguire la via giudiziaria. Il meccanismo, nel suo insieme, rafforza in realtà la via conciliativa, ma mettendo le parti su un piede di pari dignità.
Questo è il punto di fondo. E questa è la posizione su cui si è attestato il Pd. Non si vede infatti come un partito riformista, che si vuole «sinistra di governo», possa invece sostenere che la libertà di licenziamento, dando al datore di lavoro il potere di scelta conclusivo, sia una scelta progressiva. Infatti non si è mai visto al mondo che un partito, di sinistra o centrosinistra che sia, sostenga che la libertà incontrollata di licenziamento sia una misura di progresso.


Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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