
Intervento alla direzione nazionale del Partito Democratico
Bersani ha detto giustamente che è nell'oggi che si costruisce la prospettiva del domani, quindi è ora e non poi, col "domani faremo", che va affermata l'impostazione di fondo del Partito Democratico sulla questione cruciale del lavoro. Bersani ha anche detto che noi dobbiamo aiutare la riforma del lavoro ad "andare in porto". Il problema è che quella nave in porto, con qualche difficoltà, ci stava arrivando e che qualcuno l'ha fatta deragliare, e ora rischia di finire contro gli scogli. Non mi addentro nelle spiegazioni politiche di quanto è accaduto. Penso che l'analisi, sul punto, di Massimo D'Alema abbia un suo fondamento.
Da qualche mese alcuni di noi, proprio per evitare che sul tema si riaprissero conflitti e guerre epocali, come quelle del 2002, avevano elaborato una proposta sull'art.18, fortemente innovativa, ispirata al modello tedesco (si veda un mio articolo su l'Unità dello scorso 11 febbraio). Il richiamo al modello tedesco è utile su molti piani: lì esiste un meccanismo di codeterminazione, i lavoratori eleggono i Consigli aziendali, che le imprese devono preventivamente consultare prima di procedere a licenziamenti di ogni tipo, lì non può accadere che un datore di lavoro non ottemperi a una sentenza del giudice, come è accaduto a Melfi, in cui - osservo - non è in gioco l'art.18 ma l'art.28, quello sulla repressione del comportamento antisindacale, lì non può accadere che un sindacato sia privato dei diritti sindacali perché, a torto o a ragione, non sottoscrive un contratto collettivo, come è successo alla Fiat. L'ispirazione al modello tedesco è poi utile su altri piani: penso all'assetto istituzionale, al federalismo serio (su questo facemmo anni fa un lavoro con Bersani nella regione Emilia-Romagna). Non arrivo al sistema elettorale, perché sul tema sono più vicino alle posizioni espresse da Rosy Bindi.
Il richiamo alla disciplina tedesca costituisce un passaggio fortemente innovativo. Bisogna rileggere la legge che in Germania è stata adottata nel 1951, a proposito di regole che invecchierebbero col tempo. Lì c'è scritto che il giudice sente il lavoratore e valuta se per lui è possibile ripristinare il rapporto di lavoro, poi sente il datore di lavoro, e infine decide, nel caso valuti che il licenziamento è ingiustificato, se disporre un indennizzo o la reintegrazione. In questo modo le due posizioni, del lavoratore e del datore di lavoro, sono messe su un piede di pari dignità. Resta il principio della reintegrazione che continua quindi a svolgere la sua funzione di deterrenza, essenziale per mettere il lavoratore nella condizione di rendere esigibili i suoi diritti nello svolgimento del rapporto di lavoro, ma l'attuazione del principio è resa flessibile, rinviando al giudice la decisione finale. Questo potenzia gli strumenti che favoriscono la soluzione conciliativa della controversia. Tale soluzione, inoltre, a mio giudizio, sdrammatizarebbe il problema della famosa soglia dei 15 dipendenti, perché in questo modo anche il limite occupazionale, non più attendibile per molte ragioni (compreso il mancato calcolo dei lavoratori temporanei), potrebbe essere flessibilizzato.
Eravamo dunque vicini a una soluzione condivisa. Poi il governo ha fatto un'altra scelta e ha proposto una formula francamente inaccettabile. Bisogna leggerla, perché fa una certa impressione. C'è scritto che se il giudice accerta, nel caso dei licenziamenti economici, che il motivo economico è "inesistente" può solo disporre un indennizzo. Cosa vuol dire che il motivo economico è "inesistente"? Vuol dire che il licenziamento è pretestuoso, arbitrario, fraudolento. Che si usa un motivo apparentemente oggettivo per coprire altri motivi, contando sul fatto che siccome alla fine c'è solo un indennizzo tanto vale questa monetizzazione negoziarla in anticipo. Si tratta di una disposizione sbagliata, che introduce una irragionevole disparità di trattamento, censurabile sullo stesso piano costituzionale, e che apre il fianco a facili abusi. Dopodichè è inutile fare buone prediche sulla necessità di contrastare gli abusi: non contano le intenzioni del legislatore, conta l'effetto concreto delle leggi.
Ammesso che le altre parti della riforma proposte dal governo siano eccellenti, e non lo sono (rinvio all'intervento fatto qui da Cesare Damiano, aggiungendo un punto: perché mai si elimina la causale riferita ai limiti del ricorso ai contratti a tempo determinato e alla somministrazione di lavoro?), basta questa previsione a mutare il segno: uno sbrego siffatto è sufficiente a inquinare anche il disegno in apparenza più virtuoso.
Il governo si è accorto del passo falso. Infatti nel documento pubblicato sul sito del governo sono stati introdotti due correttivi. Il primo riguarda un ricorso preventivo, da parte del datore di lavoro, all'ufficio del lavoro, in via conciliativa: questo va bene. Il secondo correttivo invece è una toppa peggiore del buco: si prevede infatti che in caso di licenziamento economico il giudice possa disporre la reintegrazione solo nel caso in cui il lavoratore provi la discriminazione (che nel caso dei licenziamenti individuali costituisce davvero una probatio diabolica, impossibile da dare), ovvero che provi che il vero motivo del licenziamento non è economico ma disciplinare. In questo caso il lavoratore dovrebbe accusare se stesso, ammettere che ha commesso una infrazione disciplinare (ad esempio alcuni giorni di assenza ingiustificata dal lavoro) e che tuttavia per quella infrazione il suo contratto collettivo prevede una sanzione conservativa (sospensione) non un licenziamento. Una via del Golgota, insomma, assurda, di sapore veramente kafkiano.
Non c'è dunque che una via di uscita per sfuggire alla trappola in cui è caduto il governo. Ripristinare la parità di trattamento in materia di licenziamenti per motivi soggettivi e oggettivi, lasciando al giudice, alla fine, di decidere tra indennizzo e reintegrazione. Per i licenziamenti economici si può introdurre una procedura conciliativa preventiva, ma alla fine va restituito al giudice il potere di decidere. Condivido, sul punto, le proposte qui avanzate da Tiziano Treu. È una occasione, questa, anche per intervenire sui tempi della giustizia del lavoro: diamo ai giudici del lavoro una responsabilità, ma impegniamoli anche a decidere in tempi brevi.
Aggiungo che in questa materia bisogna stare attenti ad aggiungere nuovi dualismi alle tante frammentazioni che affliggono il mercato del lavoro. Capisco le buone intenzioni che hanno qui mosso l'intervento di Franceschini: ma osservo che introdurre una distinzione di trattamento tra nuovi assunti, esonerati dall'applicazione dell'art. 18, e lavoratori già occupati, introdurrebbe un nuovo dualismo, oltre a determinare una sorta di ghetto, ad esaurimento, per i lavoratori già occupati, e a introdurre, indirettamente, un incentivo al licenziamento dei lavoratori già occupati.
La stessa cosa si deve dire per quanto riguarda il rapporto tra lavoro privato e pubblico impiego. Ogni disparità di trattamento al riguardo va scongiurata. Se una cosa va bene per il lavoro privato questa deve andar bene anche per il pubblico impiego. Se la cosa non è buona per il pubblico impiego deve essere sbagliata anche per il lavoro privato. Guai a scavare altri solchi tra lavoro privato e lavoro pubblico. Altrimenti sento già ripartire i cori sui privilegi dei "fannulloni", in una indiscriminata e ingiusta campagna denigratoria verso il lavoro pubblico.
In conclusione auspico che quanto detto dal segretario del Pd si traduca nei fatti. Che si costituisca una cabina di regia tra Pd e gruppi parlamentari in maniera da definire un insieme coerente di proposte di modifica al disegno del governo. Non un insieme di emendamenti random, che non consente di comunicare ai nostri iscritti e elettori quale è la vera linea del Pd, ma un gruppo condizionante di modifiche al disegno di legge del governo a cui è subordinato il consenso del Pd, riconoscibili nell'azione parlamentare e nel Paese.

B67533Tc
Lasciato da las 3 proximas las gana. Almereda fuera, Valencia en casa y fuera el Zaragoza. son 9 putnos para los blancos.Jugar otra cosa en la quiniela Craso error.Volviendo al tema "no hacer lef1a del arbol caeddo" yo paso oledmpicamente de putearlos porque simpleme il giorno 13 Agosto 2014 alle 20:27


Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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