
Intervento di apertura dell'incontro promosso dai Democratici Davvero presso il Centro Congressi Cavour di Roma.
Vorrei aprire con una riflessione quadro circa il clima politico, per poi venire a tre questioni specifiche, con al centro la legge elettorale. Darei un titolo a questa premessa circa il clima politico: la narrazione fuorviante.
Una narrazione fuorviante
Mi sono fatto la convinzione che taluni luoghi comuni coltivati e propalati talvolta con innocenza, altre volte con malizia, inavvertitamente, si sono fatti senso comune, hanno fatto breccia anche tra noi. Essi vanno a comporre una narrazione alterata, che non corrisponde alla verità delle cose, ma che si è sedimentata nella pubblica opinione anche perché, ripeto, noi ci siamo mostrati subalterni, non abbiamo reagito a dovere. Una narrazione fuorviante, cioè foriera di conseguenze sul piano dell'analisi e della prospettiva politica del Pd. Provo a spiegarmi con qualche esempio.
Penso al binomio berlusconismo-antiberlusconismo. Entrambi deprecabili e deprecati. Vi soggiaciono due equivoci. Il primo: a detta di improbabili soloni, l'uno e l'altro pari sono. Come se avere contrastato Berlusconi, la sua politica, il suo sistema di valori sia stato un errore o addirittura una colpa. Il secondo: il ricatto dialettico di chi ci chiude la bocca con l'accusa di antiberlusconismo. Ricordo, al riguardo, il disappunto di Leopoldo Elia e l'inusuale, in lui, uomo mite, reazione polemica. Se l'anomalia rappresentata da Berlusconi ha un nome e un cognome, dobbiamo per questo rinunciare a nominarla e contrastarla? Eppure oggi uno degli slogan più gettonati e, mi si consenta, più banali, è quello secondo il quale dobbiamo uscire dalla opposizione berlusconismo-antiberlusconismo.
Oppure, si dice comunemente, la politica ha fallito. Di nuovo: la politica tutta e indifferentemente? Tutti nello stesso mazzo? Confesso lo stupore e l'irritazione quando uomini politici e persino ex ministri della nostra parte politica inscrivono sotto la medesima cifra del fallimento anche i governi nei quali essi figuravano. Anche i governi dell'Ulivo, quelli di Prodi e di Ciampi, di Napolitano e di Padoa Schioppa. Evidentemente è poco "in", poco politicamente corretto sostenere che a fallire sono stati i governi Berlusconi e che i nostri qualche cosa di buono lo hanno pur fatto. Se a questa qualunquistica, indifferenziata liquidazione accedono nostri uomini di prima fila, che devono pensare i nostri elettori? Perché mai dovrebbero darci fiducia?
Ancora: il vituperato bipolarismo coatto. Comprendo. Solo segnalo che la teoria sottesa più o meno esplicitamente è la rinuncia al bipolarismo tout court, all'approdo a una matura o anche solo normale democrazia competitiva e dell'alternanza. Gli ex pasdaran della democrazia maggioritaria e di investitura, cultori di un bipolarismo spinto sino al bipartitismo, oggi vagheggiano grandi coalizioni anche dopo il 2013. Essi teorizzano che dobbiamo abbandonare il bipolarismo di coalizione. Osservo: considerato che quello italiano non è nè mai sarà un bipolarismo bipartitico, la rinuncia al bipolarismo di coalizione si risolve semplicemente nell'affossamento del bipolarismo come tale.
C'è poi il mantra del riformismo. Parola magica, abusata, foriera di equivoci. Eppure la radice etimologica della parola riforme dovrebbe avvertirci: dare forma nuova ai rapporti sociali presuppone che si precisi in quale direzione. C'è riformismo e riformismo. Al contrario, oggi tutti si dichiarano riformisti, tutti sono per le riforme. Quali, in quale senso e direzione ci si propone di cambiare i rapporti sociali? Il mantra del riformismo spesso testimonia semmai la subalternità culturale prima che politica alle ricette altrui.
Si innesta qui il mito della tecnica e la celebrazione dei tecnici. Loro sì sanno che fare. Vi soggiace l'idea del pensiero e della ricetta unica, l'abdicazione della politica intesa come competizione/confronto tra visioni, progetti, programmi diversi, la politica come scelta e come responsabilità. Ce lo richiamava Bobbio ieri, Zagrebelsky oggi.
Lungo questo sentiero si sviluppa il mito dei terzisti. Prendiamo anche le concrete persone che compongono il governo Monti. Intendiamoci: non ci è parso vero che su quei banchi non sedessero più uomini e donne improbabili, talvolta imbarazzanti. E tuttavia, facendo scorrere mentalmente alcuni volti, di ministri laici e cattolici, mi sovviene un interrogativo: dove stavano costoro nel tempo della devastazione, mentre noi umilmente ma attivamente contrastavamo un'allarmante deriva morale e politica? Un memo che vale anche per i corteggiatissimi centristi che oggi si atteggiano a statisti. Moderati a lungo associati organicamente agli estremisti.
Rammento a me stesso che, da un anno a questa parte, abbiamo condensato il nostro progetto per gli anni a venire in una parola impegnativa: "ricostruzione". Se le parole hanno un senso vi sottende chiaramente l'idea che, alle nostre spalle, stia un tempo di decostruzione. Ce ne siamo scordati? Abbiamo scherzato? Anche qui un esempio. Andrea Manzella, esaminando la bozza di riforma costituzionale in discussione, ha rilevato criticamente una vistosa lacuna. Non vi figura neppure un cenno al rafforzamento degli istituti di garanzia. Eppure, giustamente, per quindici lunghi anni, abbiamo levato alte grida contro le minacce palesi o occulte portate alla democrazia costituzionale, le lesioni inferte ai suoi equilibri e segnatamente agli organi di garanzia. Tutto consegnato all'oblio?
In sintesi, il problema è la sbrigativa rimozione del passato recente o una narrazione di esso ove tutto si confonde - problemi, soggetti, responsabilità - non senza conseguenze sulla diagnosi e sulla terapia. In particolare, si è condotti a sottostimare conflitti, avversioni ed avversari, e, di riflesso, ad abdicare all'ambizione di una alternativa degna di questo nome, magari confezionando una legge elettorale che anziché propiziare una limpida competizione metta le premesse per l'abbraccio universale.
Tre questioni d'attualità
Accenno a tre questioni oggetto dell'attualità politica - il rapporto politico con il governo Monti, le riforme con specifico riguardo a quella elettorale, lo psicodramma delle primarie nel Pd - tre questioni da ricondurre a nodi più di fondo del tipo: la nostra concezione della democrazia e, più in radice, della politica, il suo rapporto con i saperi e la tecnica; il profilo del PD e la sua missione nel sistema politico italiano.
1. Il nostro sostegno al governo Monti è leale e convinto. Lo abbiamo voluto, non subìto, come i nostri avversari. Si è insediato grazie al senso di responsabilità e persino alla generosità del Pd ("prima l'Italia", è stata la nostra bussola). E tuttavia non un sostegno acritico, ma accompagnato dall'impegno a porre già ora, dentro l'emergenza e la transizione, i germi dell'alternativa domani, per il dopo elezioni del 2013. Per tre ragioni:
a) oggi s'ha da fronteggiare l'emergenza, s'ha da "mettere in sicurezza" il paese per allontanarlo dal baratro cui lo ha condotto il governo Berlusconi (non genericamente e indiscriminatamente la politica), ma si richiede ben altro: e cioè un'opera di ricostruzione (dopo la decostruzione/devastazione) profonda e di lunga lena per la quale facciamo appello a un fronte largo, a un'alleanza di forze progressiste e moderate, civiche e politiche;
b) la politica democratica è, di sua natura, competizione/confronto/sana dialettica (Bobbio, Zagrebelski), l'opposto del pensiero unico e della ricetta unica da appaltare ai tecnici;
c) non abbiamo dato vita al Pd, partito democratico di centrosinistra, per ridurci a pretoriani di un governo tecnico: coltiviamo un'ambizione più alta, quella appunto di un'alternativa ideale, politica, programmatica. Non solo mettere in sicurezza, ma, di più, cambiare il paese.
2. La legge elettorale non è questione tecnica, rinvia alla nostra visione del sistema politico e retroagisce sul profilo del Pd. Siamo straconvinti che non si possa andare alle elezioni con il porcellum, ma non ci convince affatto la bozza Violante, quella in circolazione! (D'Alimonte). Per ragioni di metodo e di merito:
di metodo: trattasi di soluzione affatto diversa da quella che sta nei deliberati del Pd (impianto proporzionale senza neppure vincolo di coalizione) e che è stata abbandonata subito e forse anche volentieri dai nostri rappresentanti;
di merito: prescindendo dalle tecnicalità con le quali ci stordiscono quando non ci imbrogliano, la sua "ratio" è la seguente: che non ci sia alcun vincitore nella competizione per il governo, che partiti deboli, autoreferenziali e rinunciatari si contentino di riportare in parlamento il proprio personale politico. Essa mette le premesse per un multipartitismo foriero di frammentazione e instabilità, al modo del primo tempo della Repubblica (che non è l'età dell'oro) e dunque: o, di nuovo, un governo di grande coalizione per venirne a capo, o la consegna di uno strapotere di coalizione al Terzo polo ai cui mobili calcoli di convenienza è appaltato tutto intero l'esito della partita. Un Terzo polo, segnalo, che plausibilmente, a regime, sarà nostro avversario sistemico.
Per inciso è sorprendente e contraddittorio che avallino questo pasticcio consociativo i cantori del maggioritario e del bipolarismo spinto sino al bipartitismo (Veltroni e i suoi alchimisti, quelli, che ci confondono le idee con la loro cassetta degli attrezzi). Forse per smodato amore di Monti ovvero per mettere in discussione la leadership di Bersani dentro il Pd...
Conosciamo i tre argomenti con i quali immaginano di convincerci:
a) i correttivi, le soglie, il premio ai due partiti maggiori. Non ce la raccontano. Una volta che ci si è messi su quel piano inclinato nessuno di quei congegni reggerebbe. Appena il "Corriere" ha anticipato la bozza, l'Udc si è precipitata a smentire di avere avallato non l'impianto che le va benissimo ma semmai proprio i correttivi maggioritari;
b) ci si obietta: voi, cioè, noi saremmo i pretoriani della foto di Vasto agitata con orrore. No: noi siamo perché si facciano tutte le più severe verifiche politiche e programmatiche prima delle elezioni e si concordino, nel caso, regole di coalizione stringenti. Più modestamente chiediamo che non si stabiliscano pregiudizialmente esclusioni e inclusioni. Laicamente, come usa dire. Non siamo quelli del nessun nemico a sinistra, ma neppure ci consegniamo ai tecnici o a Casini;
c) infine, ci si oppone che la nostra è una sorta di "fede" bipolarista. No, non è il modello, non è la forma che ci appassiona, ma la concretissima sostanza. La convinzione che, per quell'opera ricostruttiva e per quella reale alternativa, si richiede un governo non di compromesso con il Pdl.
Ne abbiamo avuto la prova la scorsa settimana: informazione e giustizia sono tabù per il Pdl! Veniamo al concreto. Solo qualche issue a modo di esempio. Potremo noi, con il sostegno determinante del Pdl, varare una seria patrimoniale, una audace riforma fiscale che favorisca il lavoro anziché le rendite, una efficace e sistematica lotta all'evasione, liberalizzazioni non timide verso gli interessi forti, una riforma della giustizia finalmente a servizio dei cittadini e che prenda le mosse dalla cancellazione di quelle leggi ad personam con più evidenti effetti di sistema (dal falso in bilancio alla prescrizione breve che si risolve in incertezza del diritto ed impunità), un riassetto in senso pluralistico del sistema informativo (a cominciare dalla vergogna della Rai), una politica estera non solo restituita al nostro storico europeismo ma, di più, che operi attivamente per contrastare i guasti prodotti dalle destre europee.
Tutti gli analisti convengono sulla tesi secondo la quale nessuna azione di risanamento sarà mai sufficiente senza una correzione del segno impresso all'Europa dall'asse Merkel-Sarkozy. Noi siamo sì per l'Europa, ma non per una Europa qualsiasi. Ed è possibile una tale correzione senza stringere alleanze con le forze politiche e i governi progressisti europei? Il che presuppone un dettaglio: dobbiamo vincere le elezioni, non mettere la firma in calce a un pareggio per riconsegnare l'Italia a un governo con dentro tutti, destra, sinistra, centro, Bersani e Berlusconi.
La dico semplice e chiara: che i berlusconiani, che ci sono ancora (lo segnalo ai distratti), mettano volentieri la firma su una legge elettorale che assicura il pareggio ci torna. Dopo il conclamato fallimento del loro governo e con il partito che gli si farina. Ma perché mai dovremmo rinunciare noi a una limpida, reale alternativa politica e di governo? Non per noi, ma per l'Italia, questa volta dobbiamo competere per vincere e governare.
In parentesi - è tema che non posso svolgere ma devo menzionare - segnalo che, nell'aria consociativa che tira, si moltiplicano segnali preoccupanti sul terreno della legalità, della giustizia, della lotta alla criminalità organizzata, sull'onda della controversa sentenza della Cassazione su Dell'Utri. Con l'avallo di qualcuno dei nostri.
3. Da ultimo una parola sulle primarie. Ci sarà pure il problema di perfezionare le regole ma il nodo a monte è essenzialmente politico. Il seguente: se ci si crede o no al bipolarismo di coalizione, l'unico bipolarismo possibile in Italia. Attenzione ai falsi problemi e alle illusorie soluzioni. La questione non è se presentare alle primarie uno più candidati di marca Pd, ma se si scommette sulla coalizione, se le si dà soggettività politica, se la di perimetra con un progetto comune, declinato poi diversamente da ciascun candidato. In un quadro così, la competizione si fa regolata e civile, chiunque vinca è la vittoria di tutti. Se invece si snaturano le primarie interpretandole non come leale confronto tra singoli candidati ma come surrogato improprio di una contesa tra partiti, si fa confusione e ci si fa solo del male. Meglio non farle.
È problema di linea politica ed è il vero nodo da sciogliere. Quel che non si può fare è abbandonare il bipolarismo di coalizione sul quale abbiamo più e più deliberati formali di partito (il nuovo Ulivo alternativo al centrodestra) senza che lo sia deciso da nessuna parte. Cambiando surrettiziamente la linea del partito al tavolo della legge elettorale da parte di chi non ne ha titolo.
Bersani, il quale, con il nostro sostegno, ha vinto il congresso sull'idea che il partito sia una cosa seria, non può accettare che si cambi la linea politica e persino il profilo del Pd da parte di chi non ne ha il mandato e, al tavolo negoziale della legge elettorale, procede incurante dei deliberati di partito.

yvhMSkEtc0
Lasciato da nike dunk Depuis le MSM est totalement biaise9e, ce blogs / sites avez-vous trouve9 ce que vous doennr les informations que le MSM ignore? . http://plpqcfir.com [url=http://koqsvei.com]koqsvei[/url] [link=http://njmhjo.com]njmhjo[/link] il giorno 13 Agosto 2014 alle 20:12BENE
Lasciato da Paolo Segantin il giorno 19 Marzo 2012 alle 09:08


Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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