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17/3/2012

Dopo Monti, il Pd per l'alternativa


Testo del documento presentato dai Democratici Davvero in occasione dell'incontro promosso a Roma presso il Centro Congressi Cavour.


Tre questioni, all'apparenza distinte, stanno monopolizzando la discussione dentro il nostro partito: il rapporto con il governo Monti, la riforma elettorale e le primarie. Tutte rinviano allo stesso problema: la nostra visione del sistema politico italiano e l'identità e la missione che il Pd vi può affermare. In gioco vi è la conferma o l'abbandono del bipolarismo e, di riflesso, del "nuovo Ulivo", cioè di un centrosinistra con cultura di governo ma nitidamente alternativo al centrodestra.


Governo Monti

Il nostro sostegno leale e convinto al governo Monti è fuori discussione. Lo abbiamo voluto noi assai più dei nostri avversari che invece lo hanno subito. Ciò non impedisce, anzi semmai impegna, a dare un contributo critico e propositivo che anticipi e prefiguri l'alternativa politica e programmatica che non possiamo affidare a un governo tecnico, necessariamente di transizione, che si regge sul compromesso tra forze dichiaratamente antagoniste. La formula di un Pd "con Monti ma oltre Monti" rende bene il senso del compito che dobbiamo svolgere in questa fase. Non fare i pretoriani di un governo di emergenza ma preparare le condizioni di un'aperta competizione che metta il Pd alla guida di un reale cambiamento.

Occorre perciò respingere suggestioni che pure si fanno largo nel Pd. Innanzitutto l'idea che il governo tecnico abbia certificato un generale fallimento di tutta la politica e non di Berlusconi e della sua politica. Da qui nascono le analisi, poco oggettive, sulla crisi del bipolarismo e sulla necessità di intervenire con una riforma della legge elettorale che lo contraddica. Si dice: Monti fa cose che avremmo dovuto fare noi, anche noi; i nostri esecutivi hanno governato male esattamente come i nostri avversari, il bipolarismo ha fallito.

A rafforzare queste letture si esibisce il consenso che i sondaggi attribuiscono al governo dei tecnici. Consenso che in realtà andrebbe tarato sullo stato di emergenza all'origine del suo insediamento e della sua stessa legittimazione: l'insostenibile discredito internazionale del governo Berlusconi, l'alto patrocinio del presidente Napolitano, l'ostentata alterità di Monti e dei suoi ministri rispetto al ceto politico professionale. Tutti elementi oggettivi che oggi servono a puntellare il sostegno offerto da un largo e autorevole fronte di opinionisti che contribuisce ad alimentare un certo "senso comune" sull'impotenza della politica e i guasti del bipolarismo.

Non è così. Il governo Monti ha sostituito Berlusconi non ha commissariato la Politica che anzi è chiamata a riscattare la propria funzione: interpretare e guidare in senso democratico le profonde trasformazioni economiche e sociali in atto.


Legge elettorale

Va tenuta ferma la bussola del bipolarismo, di una democrazia nitidamente competitiva, che si alimenta di un civile confronto tra offerte politiche alternative. Lo schema in discussione non sembra rispondere a questo obiettivo. Non convince il metodo. È evidente che ci si deve confrontare con tutti, ma non si può abbandonare in partenza il doppio turno e l'impianto maggioritario deliberati dagli organismi del Pd e tradotti nelle proposte depositate a Camera e Senato. Non convince il merito. Si va verso il ripristino del paradigma proporzionale. Con soluzioni che, a quanto sembra, non contemplano un preventivo vincolo di alleanze da presentare prima del voto. Si rischia di produrre tre scenari, tutti in contrasto con la missione del Pd:

  1. frammentazione e instabilità al modo della prima Repubblica;

  2. multipolarismo senza vincitori che potrebbe condurre alla reiterazione di un governo "strano" sostenuto da una Grossa coalizione formata da Pd, Pdl e Terzo Polo;

  3. un quadro che consegna tutta intera la partita per il governo ai calcoli di convenienza del Terzo Polo.


È un'impostazione molto simile a quella del primo tempo della Repubblica. Con la differenza che si abbandonano le coalizioni formate prima del voto e definite "ammucchiate", per patrocinare altre ammucchiate messe insieme dopo, a urne chiuse, non sottoposte al vaglio degli elettori. Si conferisce un potere di coalizione esorbitante al Polo di centro, vero arbitro di una partita per definizione senza vincitori nella competizione per il governo. Dietro questa soluzione si coglie la rinuncia all'ambizione di vincere e governare con il proprio programma e la propria visione. Anziché valorizzare partiti degni di questo nome e sicuri di sé, si ha un'impressione esattamente contraria: quella di un'intesa tra partiti deboli e rinunciatari, un patto per sopravvivere.

Non sorprende che Berlusconi, dopo un primo sbandamento, si sia esposto nel prospettare la continuità del governo tecnico anche oltre il 2013. Sorprende invece la convergenza sulla legge elettorale che si registra dentro il Pd tra chi ha sempre sostenuto lo schema proporzionalista e il primato del partito sulla coalizione da definire a urne chiuse, in un sistema multipartitico; e chi, invece, sostiene il maggioritario, la democrazia d'investitura e il bipolarismo. Entrambi oggi convergono sull'ipotesi di un dopo Monti che riproponga un governo di tipo tecnico magari sostenuto da una grande coalizione. Un'alternanza senza alternativa, sostenuta anche da coloro che più enfatizzavano il nesso tra leader Pd e candidato premier e che ora, più o meno apertamente, lo mettono in discussione. Magari per mettere in discussione Bersani.


Bipolarismo di coalizione

Il bipolarismo "muscolare" o "selvaggio" non è "il modello" ma il frutto dell'anomalia rappresentata da Silvio Berlusconi, con il suo colossale conflitto di interessi, con la torsione delle regole di una sana competizione a cominciare dalla regola più alta, quella costituzionale, con la pressione sugli organi di garanzia, con il controllo dei mezzi di informazione. Questa anomalia ha minato il nostro bipolarismo. Ed è bene ricordarlo per non correre il rischio di far naufragare insieme al bipolarismo le analisi che abbiamo fatto di questi diciotto anni di berlusconismo.

L'antiberlusconismo, che oggi in molti invitano ad archiviare, non è un vezzo ideologico ma la consapevole espressione di una radicale alternativa nella concezione della politica e della democrazia, delle Istituzioni e della legalità, delle politiche economiche e sociali, del ruolo della cultura e dell'informazione. Le nostre idee non sono venute meno. Soprattutto non è venuta meno l'esigenza di una ricostruzione, civile, morale, economica dell'Italia che certamente non si può realizzare insieme a chi ha la responsabilità di aver determinato lo sfascio. Una ricostruzione che si muova nella fedeltà ai principi e ai valori della Costituzione, che abbiamo difeso in questi anni.

Restiamo convinti che la Carta non può diventare oggetto di un baratto politico che scambi l'esigenza di governabilità con l'indebolimento del ruolo del Parlamento e degli istituti di garanzia di cui curiosamente non c'è traccia nella bozza in circolazione. Non abbiamo mai concepito l'alleanza con Sel e Idv come un dogma di fede. Riteniamo, al contrario, che vada sottoposta a una preventiva, severa verifica politico-programmatica, senza alcuno sconto. Nel frattempo, visto che con quelle forze ci presentiamo ovunque alle elezioni amministrative, non si comprende come mai si debbano avanzare pregiudiziali esclusioni, prima di quella severa verifica.

Dopo Monti, l'offerta politica dovrà essere qualificata, e presentarsi come limpida alternativa tra diverse proposte di governo del Paese. Siamo convinti che la bipolarizzazione del consenso si ripresenterà, salvo non intervenga una legge elettorale che favorisce la dispersione. Si confermerebbe che la coscienza politica del corpo elettorale ha assimilato il bipolarismo più di quanto non lo abbiano assimilato i gruppi dirigenti dei partiti.


Primarie

C'è il problema di perfezionare le regole. Occorre individuare meccanismi (albo dei votanti, quorum del 50% e doppio turno) che impediscano di inquinare la competizione. Alla radice il nodo è comunque politico. Non si tratta di stabilire se il Pd debba avere uno o più candidati. Il problema è decidere se investire o meno sulla coalizione. Le primarie, insomma, devono diventare il primo banco di prova in cui conferire una soggettività politica alla coalizione, se ne definisce il perimetro facendo sottoscrivere ai candidati un progetto essenziale comune e regole di comportamento conseguenti che ciascun candidato declinerà a suo modo, con diverse caratterizzazioni. Se si realizza questo salto di qualità, chiunque vinca sarà una vittoria di tutti e un contributo al confronto elettorale con gli schieramenti alternativi. Non un dramma lacerante, non un surrogato improprio della conta tra partiti e nel partito.

 

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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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