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1/3/2012

«Difendo il Pd ma non la proposta di riforme»
di Francesco Palladino - da Libertà e Giustizia


«Sono sincera: è indubbio che il sistema politico italiano e i partiti che lo compongono non godono di buona salute!», riconosce la vicepresidente della Camera Rosy Bindi, presidente del Pd, ricevendomi nel suo studio a Montecitorio. «Il fallimento di Berlusconi ha trascinato con sé l'intero sistema politico, perché egli è riuscito a raggiungere l'obiettivo che forse gli stava più a cuore, delegittimare, con il populismo e la personalizzazione di ogni atto, tutti gli strumenti di partecipazione dei cittadini, cioè i partiti e forse anche il momento elettorale», continua Bindi.


Il fallimento però, secondo la comune opinione, è colpa di tutta la classe politica, tanto che si teme uno "sciopero elettorale" (come lo definisce Gustavo Zagrebelsky nell'appello di Libertà e Giustizia "Dipende da noi", che ha già raccolto oltre 30mila firme) distruttivo ed esteso come mai prima. Siamo davvero giunti all'ultima chiamata per cambiare l'Italia e salvare il Paese?
«Accolgo convinta e volentieri l'allarme della vostra associazione e l'invito a rilanciare la funzione democratica dei partiti che viene da Zagrebelsky. Credo tuttavia che la delusione che emerge dai sondaggi non si trasformerà automaticamente in astensione nelle urne: al momento del voto, di norma, la percentuale di elettori resta alta. Anche la recente esperienza dei referendum dimostra che i cittadini hanno voglia di riappropriarsi della partecipazione politica. Penso che dobbiamo investire di più in questa disponibilità».

Appunto: nell'appello di LeG si esortano le tante persone che sono nei partiti e nella pubblica amministrazione a uscire allo scoperto e a "ripulire le loro stanze" rifiutandosi di avallare il degrado della politica. Come si può fare?
«Si deve vedere il degrado dove c'è, identificarlo e chiamarlo per nome... In modo da non fare di tutta l'erba un fascio e dare risposte efficaci. C'è la corruzione, certo, c'è l'illegalità, ci sono coloro che sbagliano e devono essere sanzionati. Ma per ripulire le stanze occorre fare un'operazione verità, e non sostenere genericamente che tutto è fallimento e corruzione. Se tutto è delegittimato non c'è salvezza. Bisogna restituire autorevolezza alla nostra democrazia, cominciando con una riforma del finanziamento pubblico e con una legge sulla vita interna dei partiti, in attuazione dell'art. 49 della Costituzione. C'è una sorta di luogo comune, avallato da troppi osservatori, secondo cui il governo Monti sarebbe la prova del fallimento di tutti i partiti, tutti ugualmente colpevoli. Non è così. Monti è a palazzo Chigi perché ha sostituito Berlusconi e un governo che stava facendo molto male al Paese, ma non ha il compito di commissariare la politica. Le opposizioni, il Pd in particolare, hanno sostenuto questa soluzione, sotto l'impulso del presidente della Repubblica, perché eravamo sull'orlo del baratro. Potevamo chiedere le elezioni che non temevamo e che probabilmente avremmo vinto. Abbiamo fatto una scelta nell'interesse generale. Il Paese andava messo in sicurezza, con una fase di impegno nazionale che non espropria le funzioni del Parlamento e dei partiti. Ma è una stagione a termine: le elezioni ci saranno nel 2013 tra schieramenti e programmi chiaramente alternativi. Dopo Monti non ci saranno larghe intese».

Ma prima di tornare alle urne, il Parlamento riuscirà a cancellare il Porcellum e ad approvare una nuova legge elettorale degna di un Paese democratico e civile?
«Le forze politiche e parlamentari devono mettere mano ad alcune riforme, prima fra tutte quella elettorale. Il progetto al quale si sta lavorando non mi convince affatto: si delinea un discutibile ritorno al sistema proporzionale che in parte restituisce ai cittadini la possibilità di selezionare i parlamentari, ma nel contempo li espropria del sacrosanto diritto di scegliere la coalizione di governo. Il risultato paradossale è che nel momento del loro massimo discredito i partiti si tengono le mani libere sulle alleanze post elettorali. Non è questo il modo di recuperare fiducia e ridurre la distanza che si è creata tra politica e cittadini».

Lei indica la necessità delle riforme: ma è accettabile che un Parlamento così "screditato", di nominati con un premio di maggioranza scandaloso, sia legittimato a mettere mano alla Costituzione?
«Sono d'accordo. La priorità deve essere una nuova legge elettorale. E non ci si deve nascondere dietro il tentativo di riforma istituzionale per non fare né l'una né l'altra. Si immagina di mettere in cantiere la nuova legge elettorale dopo il voto amministrativo di maggio. Realisticamente vedo possibile una sola riforma istituzionale che farei insieme alla legge elettorale: la riduzione del numero dei parlamentari. Sarebbe un segnale chiaro e tutti lo capirebbero. Da troppo tempo questa scelta viene rinviata. Anzi, la nuova legge potrebbe proprio essere coordinata e costruita in modo adeguato e coerente insieme alla riduzione del numero dei parlamentari. Avrebbe una logica. Per le altre riforme istituzionali, secondo me, non c'è tempo. Comunque non sono d'accordo con interventi che limitino la centralità del Parlamento o che vogliano intaccare le prerogative del presidente della Repubblica».

Se davvero nascerà una nuova Italia più moderna con politica e partiti "ripuliti", quale potrà essere il ruolo della società civile?
«Se i partiti vogliono ritrovare la credibilità perduta, devono avere la capacità di aprirsi a tutti i fermenti presenti nella società. Un partito ha un futuro nella misura in cui riesce a mettersi in ascolto e a dialogare con le realtà vive del Paese. Penso che il risultato del referendum sui beni pubblici faccia capire che in questi anni l'associazionismo laico e cattolico, il mondo del lavoro, le donne, i giovani, hanno mostrato idee chiare sulla legalità, la democrazia, il modello di sviluppo su cui investire. Non dobbiamo ripetere alcuni errori del passato, frutto di una concezione autoreferenziale dei partiti. L'esperienza dell'Ulivo e il Pd hanno permesso di superare la pretesa di autosufficienza delle forze politiche del Novecento. L'apertura alla società civile non è un espediente delle campagne elettorali, ma il modo in cui il Pd concepisce la propria azione politica. Le primarie ne sono una prova. Dobbiamo attrezzarci per rendere costante la relazione tra partito e società civile, sia nella definizione dei programmi che nella selezione delle candidature».

 

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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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