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28/2/2012

Caro Ceccanti, caricature no
di Franco Monaco - da Europa


Stefano Ceccanti ha recensito criticamente le riflessioni di Stefano Fassina circa il rapporto tra laburismo e ispirazione cristiana, accusandolo di imprimere una curvatura politico-ideologica impropria alla dottrina sociale della Chiesa e contestandogli più specificamente un deficit di cultura liberale e una visione statalista che sarebbero in aperto contrasto con essa. A detta di Ceccanti, nel solco della vecchia sinistra e della vituperata tradizione dossettiana.

Convengo sul richiamo a resistere alla tentazione di "appropriazioni indebite" e a non indulgere alle rappresentazioni caricaturali, ma tale tentazione sembra fare breccia anche in Ceccanti. Su un punto preliminare dovremmo essere d'accordo: la dottrina sociale della Chiesa, in ragione del suo statuto teologico (teologia morale) e della sua valenza universale, non può essere catturata da una e una sola cultura politica (vi sono molteplici possibili mediazioni storico-politiche di essa), ma neppure, per converso, si può avallare la sua "neutralizzazione", quasi che il Magistero sociale fosse muto e indifferente, compatibile con quale che sia pensiero e modello politico.

Lasciamo comunque ai Buttiglione l'idea, presuntuosa e distorta, di confezionarsi il "partito della dottrina sociale della Chiesa". Di qui in avanti però ci si divide. Gli stessi riferimenti testuali di Ceccanti non avallano affatto la sua tesi. Difficile francamente rappresentare il magistero di Wojtyla e di Ratzinger come liberale e tantomeno come compiacente con il capitalismo. Semmai il contrario. Semplificando oltremisura si può piuttosto asserire che esso sia attraversato da una vena anticapitalista o comunque dalla tensione a ricercare un orizzonte alternativo. La Laborem Exercens di Giovanni Paolo II del 1981 è tutta centrata intorno alla tesi del primato dell'uomo sul lavoro e del lavoro sul capitale, in palese dialettica con il paradigma capitalista.

La Centesimus Annus, promulgata nel 1991 a valle della caduta del muro di Berlino, riflette sul tragico fallimento del comunismo la cui radice malata starebbe nelle sue basi filosofico-antropologiche. Ma essa non è per nulla corriva con il capitalismo imperante. Al contrario ammonisce che tutti i problemi cui il comunismo si proponeva di porre rimedio con soluzioni rivelatesi, ripeto, illusorie e tragiche, ci sono consegnate tali e quali in eredità. Segnatamente due: le conclamate disuguaglianze sociali e territoriali e l'alienazione dell'uomo moderno. Come non ricordare la conversazione di Papa Wojtyla con Jas Gawronski (1993) nella quale Egli bolla il capitalismo come in radicale antitesi al cristianesimo e il suo superamento come compito storico dei cristiani (il giornalista autore dell'intervista così reagisce: «Quando la sento parlare così non posso evitare di pensare che Lei sia più contrario al capitalismo che al comunismo»)?

Ed è significativo che Papa Benedetto sviluppi tutta intera la sua riflessione nella Caritas in Veritate nel solco e con l'intento di riprendere e aggiornare la Populorum Progressio di Paolo VI del 1967. Siamo vecchi abbastanza per rammentare la forza dirompente di quell'enciclica nella denuncia delle disumane ingiustizie che affliggono il mondo e nell'appello all'umanesimo plenario. Del resto, ad essa seguì nel 1971 l' Octogesima Adveniens sempre di Montini, ove figura una severa critica dell'ideologia liberale (n. 26).

Sia chiaro: non si "battezzano" modelli economico-politici la cui ideazione è affidata alla responsabilità dei cristiani e degli uomini di buona volontà. Ma come non percepire la tensione a immaginare altro (Paolo VI parla di «invenzione creatrice», Benedetto XVI di «nuovo slancio del pensiero»)? Non mi sento di sostenere che ciò conduca al laburismo. Troppi sono i laburismi al plurale e alcuni forse sono datati. Ma è lo stesso Ceccanti che ci ripropone un noto testo di Ratzinger del 2004 che suona semmai a smentita della sua tesi e sembra dare piuttosto ragione a Fassina: «Il socialismo democratico (fu) salutare contrappeso nei confronti delle posizioni liberali radicali, le ha arricchite e corrette... In molte cose il socialismo democratico era ed è vicino alla dottrina sociale cattolica». Tutti testi che se non autorizzano a "consacrare" il paradigma socialdemocratico tuttavia conferiscono ragioni forti ai cristiani che, pur in autonomia, operano una scelta di campo per il centrosinistra.

Sul punto specifico della concezione del rapporto tra società e stato, con Ceccanti ed altri, si discute da tempo sulle pagine del periodico online del Pd Tamtàm Democratico. Qui mi limito a due rilievi. In primo luogo, mi pare difficile sostenere che il principio di sussidiarietà caro al Magistero sociale sia in contrasto con un beninteso primato della politica. Sia perché sempre la sussidiarietà va coniugata con la solidarietà. Sia perché semmai la dottrina sociale cristiana pone molta enfasi sulla politica e sullo stato come custodi e promotori del bene comune (che è cosa diversa e più pregnante dell' "ordine pubblico" come proposto da padre Murray, l'ispiratore della dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa). Cioè su un fine eticamente denso e impegnativo. Forse, ne convengo, persino troppo. Con il rischio di qualche attesa e pretesa eccessiva della Chiesa verso la politica e lo stato. Non il contrario.

In secondo luogo, è francamente una forzatura (anche se, reiterandola, sta assurgendo a luogo comune) la rappresentazione di Dossetti quale statalista. Basterebbe rammentare che il principio di sussidiarietà (e cioè l'idea di uno stato servente la persona e le formazioni sociali che le riconosce come antecedenti a sé medesimo) è implicitamente ma nitidamente scolpito in quell'art. 2 della Costituzione che ricalca alla lettera un celebre ordine del giorno scritto di suo pugno dal Dossetti costituente. Ciò detto, è vero: Dossetti teorizzava una politica ambiziosa, che si proponesse la riforma della società nel senso di un di più di uguaglianza e di democrazia partecipativa. Cioè un riformismo forte, da non confondere con il moderatismo e con semplici ricette liberali. Quello che, a mio avviso, dovrebbe proporsi ancor oggi il Pd. Un partito nitidamente alternativo al centrodestra. Lasciamo stare se laburista o meno, ma comunque di centrosinistra.

Caro Stefano (Ceccanti), perché mai ci siamo tanto adoperati per introdurre il bipolarismo e la democrazia competitiva se poi ci acconciamo a proporre le stesse cose, a ridurci a pretoriani di governi tecnici di larghe intese, senza l'ambizione di una limpida alternativa? Ma questa è materia della più contingente disputa politica tra noi.

 

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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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