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23/1/2012

L'articolo 18 non è un tabù: è solo civiltà
di Luigi Mariucci - da L'Unità


Tabù nella lingua polinesiana allude a una proibizione fondata su motivi sacrali, misterici e quindi irrazionali. È perciò singolare questo vezzo, di matrice più giornalistica che accademica, di accostare il termine tabù all'art.18 dello Statuto, talora variandolo con espressioni similari, tipo totem o dogma.

Ancora ieri il presidente Monti ha usato questa espressione, riferendosi all'imminente incontro con le parti sociali. È bene allora tentare ancora una volta di chiarire che l'art. 18 (quello che dispone la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato) non è né un tabù, né un totem, né un dogma. È semplicemente un principio di civiltà giuridica. Stabilisce che un atto illegittimo (come il licenziamento ingiustificato) deve essere rimosso, come accade normalmente nel diritto privato, ad esempio per gli atti lesivi del diritto di proprietà.

È bene, in genere, e specie nella fase di crisi che stiamo attraversando, difendere i principi conquistati con decenni se non secoli di progresso della civiltà giuridica. È una scelta razionale, non un pregiudizio feticistico di tipo tribale. Vale la stessa cosa per altre fondamentali dichiarazioni di principio. Ci ricordiamo di quando qualcuno proponeva di riformare l'art. 1 della Costituzione (quello che dice che «l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro») usando guarda caso la stessa espressione: «L'art. 1 della Costituzione non è un tabù».

Quando poi si parla di uno specifico oggetto normativo bisognerebbe anzitutto conoscerlo. Ignorantia iuris non excusat, dicevano gli antichi. Questo vale anche per gli economisti. Ad esempio per Alesina e Giavazzi che in un fondo pubblicato ieri sul Corriere della Sera hanno fondato il loro ragionamento sulla seguente e clamorosa castroneria: secondo loro l'art. 18 sancirebbe «l'illicenziabilità per motivi economici». Occorre avvertire i due autorevoli editorialisti che in Italia l'illicenziabilità non esiste, come non esiste, da qualche tempo, l'imponibile di manodopera. Tant'è che negli ultimi anni molti lavoratori (compresi i cosiddetti «garantiti», quelli con il contratto a tempo indeterminato) hanno perso il posto di lavoro, appunto per motivi economici, e molti altri rischiano di perderlo nei prossimi mesi.

Bisogna avere pazienza e spiegare ancora una volta che l'art.18 non dispone alcuna supposta «illicenziabilità»: si limita a stabilire che se il licenziamento è ingiustificato il giudice dispone la reintegrazione (nelle unità produttive con più di 15 dipendenti), mentre già la legge del 1966 stabiliva che il licenziamento era ammesso solo per giusta causa o giustificato motivo (soggettivo o oggettivo, cioè per motivi economici). Questo significa che se il motivo economico esiste davvero il licenziamento è legittimo e del tutto praticabile. Se il motivo economico è fasullo, e le ragioni economiche sono solo un pretesto per liberarsi dei lavoratori scomodi, il licenziamento è illegittimo.

Forse gli economisti citati vorrebbero tornare a quanto previsto dal codice civile del 1942, quando era ammesso il cosiddetto licenziamento ad nutum (vale a dire, a un cenno), dalla sera alla mattina. Come accade negli Usa dove per lo più questa è la regola: lì il licenziamento libero lo chiamano employment at will, e il risultato è fantastico, si calcola in circa 20 milioni di disoccupati. Meglio lasciar perdere quindi metafore improbabili. Dell'art.18 solo due cose vanno ragionevolmente modificate: il campo di applicazione, essendo il limite dei 15 dipendenti non più credibile (ma questo vale anche per tante altre norme del lavoro, dalla Cassa integrazione alle assunzioni degli invalidi) e i tempi di durata delle controversie.

Per il resto si torni a parlare di cose serie: l'estensione degli ammortizzatori sociali (ovvero di una significativa indennità di avviamento o riavviamento al lavoro) per tutti coloro, giovani, donne, lavoratori maturi che il lavoro lo cercano davvero, l'innnalzamento del costo per i lavori precari, spesso utilizzati in termini puramente speculativi e illegali, l'incentivazione fiscale per le assunzioni a tempo indeterminato, il disboscamento della giungla dei contratti atipici, il potenziamento dell'apprendistato e di un nuovo contratto di inserimento come forme privilegiate di accesso al lavoro. Il resto sono chiacchiere e parole al vento.

 

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  • art.18
    Lasciato da anna il giorno 31 Gennaio 2012 alle 19:55
  • Alesina, Giavazzi e il tormento dell'art.18
    Lasciato da Simon Blacks il giorno 25 Gennaio 2012 alle 17:21

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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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