
Testo dell'intervento di commemorazione di Maria Eletta Martini alla Camera dei Deputati
Signor presidente, colleghe e colleghi, ricordiamo oggi una donna che con la sua intelligenza ed il suo lavoro, la sua concezione della politica e della democrazia, ha testimoniato come si possa servire il proprio Paese soprattutto attraverso il lavoro parlamentare. Una testimonianza preziosa soprattutto in questi giorni, in questi tempi. Sono grata al servizio biblioteca della Camera dei deputati che in pochi giorni ha voluto offrirci una prima sintesi dei discorsi e degli interventi dell'onorevole Martini, alla quale dovremmo poi dedicare, come credo e auspico, uno dei tradizionali volumi nei quali raccogliamo le testimonianze delle persone che hanno lavorato di più al servizio del nostro Paese.
Maria Eletta Martini ha vissuto a testa alta tutte le fasi più intense e travagliate della nostra Repubblica e ha dato una prova, con il suo lungo impegno nelle istituzioni e nella politica, della fecondità della sua cultura, quella del cattolicesimo democratico. Ne è stata anzi un'interprete originale nella personalissima capacità di coniugare una fede autentica, sorretta da una ricca spiritualità interiore per altro mai esibita e da una vera comunione ecclesiale, con le grandi responsabilità pubbliche che ha esercitato. Il solco di quella educazione controcorrente ricevuta dal padre Ferdinando, esponente dell'azione cattolica lucchese durante il fascismo e poi membro del Cnl toscano per la Dc, sindaco di Lucca, Maria Eletta aveva subito proprio la sua lezione di rinnovamento e di laicità che veniva dal Concilio Vaticano II anche grazie alla formazione, all'amicizia con i suoi amici vescovi, Monsignor Bartoletti e Monsignor Franceschi.
Da quel Concilio arrivava una nuova linfa e un nuovo slancio proprio per quella cultura che nel nostro Paese aveva dato vita prima con Sturzo e poi con De Gasperi alla presenza matura e forte della politica del cattolicesimo democratico. È stata orgogliosamente democristiana e morotea. Era donna di partito e di corrente: non lo nascondeva e non se ne vergognava. Rispettata da tutti, molto amata da molti, esigente con se stessa ma anche con le persone che stimava e sulle quali investiva.
Fare politica ammoniva non è la stessa cosa che essere soci di un circolo culturale. Il dovere della politica diceva è di essere progettuale. Aveva un'idea seria della politica fatta di studio, competenze e conoscenze dei meccanismi del potere che non demonizzava ma padroneggiava con sobrietà e senso del limite. Aveva un'idea seria della politica, fatta di studio, competenze, conoscenza dei meccanismi del potere, che non demonizzava ma padroneggiava con sobrietà e senso del limite. «Il dovere della politica - diceva - è di essere progettuale».
Non bastano le virtù - diceva - e l'onestà dei singoli, premessa indispensabile ma non sufficiente. Conta la capacità di realizzare regole di convivenza e progetti condivisi. Conta fare le riforme necessarie e possibili per promuovere democrazia, dignità e diritti della persona anche quello alla "felicità". Sapeva che il consenso è fondamentale ma aggiungeva non può essere perseguito a tutti i costi, con qualunque mezzo e compromessi irrealizzabili. Va invece costruito in un rapporto serio, veritiero e onesto con la realtà e con i cittadini. Così il consenso è specchio dell'efficacia della politica e della sua eticità. La presenza di tante persone comuni ai suoi funerali sono la dimostrazione di una politica così vissuta.
Come ha ricordato il presidente, con Aldo Moro c'erano amicizia e condivisione profonde. A partire dal cuore della sfida morotea, quella della democrazia compiuta, che si consuma nell'arco di un terribile decennio, dal 1968 al 1978, quando Moro passa dall'isolamento alla guida del partito. All'orizzonte c'è la visione di una democrazia dell'alternanza come approdo di un sistema politico-istituzionale finalmente sbloccato. Anche Maria Eletta, come Moro, concepisce questa fase come un processo dinamico in piena attuazione della Costituzione e di allargamento delle basi democratiche dello Stato in cui i partiti rivestano un ruolo insostituibile di raccordo tra istituzioni e società.
Non a caso anche lei come Moro era convinta che il rafforzamento della democrazia non può essere affidato soltanto all'ingegneria istituzionale od elettorale ma richiede in primo luogo un profondo o autentico rinnovamento dei partiti chiamati a interpretare i bisogni e le attese dei cittadini, a capirne l'ansia del cambiamento e a guidarlo verso il futuro. A quel modo di fare politica, a quel progetto di democrazia soffocato dal martirio di Moro e di quello di altri suoi cari amici come Piersanti Mattarella, Vittorio Bachelet e Roberto Ruffilli, Maria Eletta è rimasta fedele negli anni difficili del logoramento e del declino della Dc.
E senza nostalgie per il passato, ma con la fiducia ed il coraggio e con un forte senso etico, anche questi molto morotei, di innovare la politica si è riconosciuta nel progetto di un nuovo centrosinistra, accompagnando la nascita de L'Ulivo e poi del Partito Democratico. Nella sua lunga militanza politica e parlamentare si è misurata con le grandi trasformazioni economiche, sociali, civili e culturali dell'Italia degli anni Sessanta e Settanta, con la domanda di giustizia e di nuovi diritti del mondo del lavoro, con il protagonismo dei giovani, delle donne, con i cambiamenti che investono la famiglia, il rapporto fra i sessi e le generazioni, in un Paese che sempre più si caratterizza per il suo pluralismo etico e culturale. In questo raccordo sta la forza del suo lavoro in Parlamento, che è stato qui ricordato dal presidente: nuovo diritto di famiglia, Servizio Sanitario Nazionale, ma anche da relatrice di minoranza della legge sul divorzio o votando contro l'aborto ne ha sollecitato poi con le mozioni l'applicazione intera della legge 194. Ha lasciato la sua impronta nelle nuove norme sulle adozioni internazionali, i consultori familiari e l'obiezione di coscienza al servizio militare.
Lo ha fatto esercitando la virtù della prudenza, che non è affatto furbizia, calcolo o peggio resa delle proprie convinzioni. Lo ha fatto sperimentando il travaglio «dei cristiani esigenti anche in politica», che conoscono lo scarto tra la tensione spirituale all'inveramento dei valori che la fede annuncia e la loro traduzione in azioni concrete, scelte legislative, governo di una realtà plurale e complessa. Si deve a lei, alla sua intelligenza nel cogliere le novità del tempo, alla sua pazienza nel mettere in relazione differenti sensibilità e percorsi culturali, la legittimazione pubblica di quello che definiva «il mondo della gratuità solidale».
È stata lei che ha individuato il tratto distintivo del volontariato appunto nella gratuità, che non voleva mai confuso neppure con il terzo settore o con l'impresa sociale. Voleva così salvaguardare l'identità del volontariato, che non si sostituisce alle istituzioni e che al tempo stesso, attraverso una corretta sussidiarietà, esprime la grandezze e la forza della società. Affermava così una corretta sussidiarietà, in cui la politica crea le condizioni che permettono alle diverse realtà della società civile di svolgere i propri compiti, diversi e non sostitutivi da quelli dello Stato. Non sopportava l'idea di welfare residuale o compassionevole.
Ci lascia una grande lezione di amore per la politica e la democrazia. Ne avversava le forme elitarie e virtuali. Una grande lezione sulla centralità del Parlamento, centro della vita democratica, luogo del dialogo e del confronto, di paziente ricerca delle soluzioni migliori, dei punti di condivisione più alti, delle mediazioni più profonde e dell'esercizio mite del potere. In una stagione in cui forte è la suggestione di fare a meno dei partiti ed i politici appaiono irrilevanti, se non addirittura ostacolo al progresso ed alla crescita del Paese, sotto lo scacco dell'antipolitica, mi auguro che la dedizione di Maria Eletta Martini, la sua ansia riformatrice, la sua coerenza e la sua integrità siano da esempio a quanti anche oggi sono impegnati, con il cuore e con la mente, con onestà e sincerità, a restituire dignità ed autorevolezza alla politica, riaffermando la centralità del Parlamento.


Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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