
Il 29 dicembre se n'è andata a Lucca, all'età di 89 anni, Maria Eletta Martini, "signora del volontariato", "madre della Repubblica", interprete autentica del cattolicesimo democratico e conciliare, donna delle Istituzioni con un occhio attento alle realtà civili e sociali.
Giovanissima, decise di dare il suo contributo alla Resistenza come staffetta partigiana. Figlia d'arte (il padre fu il primo sindaco di Lucca libera e senatore della Repubblica), fu consigliere comunale a Lucca per molti anni, parlamentare, nelle file della Dc, ininterrottamente dal 1963 al 1992. Alla Camera dei Deputati assunse ruoli di rilievo: vicepresidente della Camera dal 1978 al 1983; presidente della Commissione Sanità, nella cui veste portò a conclusione la Legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale; promotore e relatore unico del nuovo Diritto di Famiglia (Legge 151/75); relatore di minoranza per aborto e divorzio; relatore della Legge per la Cooperazione ai Paesi in via di sviluppo e delle normative per i rapporti tra Stato e Chiesa; determinante per l'elaborazione delle leggi su adozione, consultori familiari e obiezione di coscienza al servizio militare. Fondatrice, nel 1984, del Centro Nazionale di studi e documentazione sul Volontariato, che ha presieduto fino al 2008, ha concorso alla stesura della Legge quadro sul volontariato (266/91). Nel 2006 il Presidente della Repubblica Ciampi la insignì del titolo di Cavaliere di Gran Croce, la più alta onorificenza della Repubblica.
È difficile, per chi l'ha conosciuta e frequentata, formulare un suo ricordo. È complicato, in poche righe, condensare emozioni, insegnamenti, stimoli, spunti di riflessione. Conobbi Maria Eletta al tempo delle superiori, quando, da adolescente già appassionato di politica, decisi di partecipare ad un concorso, organizzato ogni anno dal Comune di Viareggio, su "I giovani nella vita pubblica del Paese". In quell'edizione si richiedeva un saggio sulla crisi dei partiti politici. Scelsi di concentrarmi sulla Dc e sulle prospettive che si erano aperte dopo la sua dissoluzione. Fui consigliato dal mio insegnante di Lettere di contattare Maria Eletta, perché a suo avviso poteva darmi delle indicazioni utili e anche un bel po' di materiale. Con un po' di timore chiamai quella che ai miei occhi era un'istituzione, perché in effetti a Lucca lo era. Un ragazzo delle superiori che disturba una ex parlamentare per un banale concorso, mi dicevo? Vinsi la mia timidezza e trovai da subito in Maria Eletta un'anziana signora affabile e decisamente alla mano, un'interlocutrice attenta e disponibile che si interessò alla mia ricerca, appassionandosene.
Da quegli incontri nacque un'amicizia, una frequentazione che è durata fino a qualche anno fa, fin quando i segni della malattia non erano ancora così vistosi da invalidarla completamente. Fu lei ad introdurmi, da giovanissimo, negli ambienti della politica. Lei a spronarmi a letture formative e ad incontri significativi. Lei a presentarmi ai dirigenti provinciali del partito. E quando, nell'ambito dei Giovani Popolari prima, e della Margherita poi, si costituì un bel gruppetto di giovani, Maria Eletta volle accompagnarci e seguirci da vicino. Si sentiva in debito nei confronti delle nuove generazioni. Sentiva su di sé la "colpa" di non aver dato qualcosa ai tanti giovani che, durante il suo impegno politico attivo, aveva incontrato. Avvertiva la responsabilità di non aver formato una nuova classe dirigente, almeno a Lucca, concentrata com'era su di sé, sulle sue molteplici attività. E nell'ultimo scorcio della sua lunga vita, era decisa a rimediare.
Fu così che si creò un rapporto di amicizia e di frequentazione durato alcuni anni. Ci ritrovavamo a cadenza regolare a casa sua, nel suo studio. Concordavamo insieme gli argomenti da affrontare. Partivamo dalla storia per poi arrivare all'attualità. Approfondivamo alcune figure significative: De Gasperi, Dossetti, La Pira, Moro, Zaccagnini. Ci concentravamo su alcuni periodi specifici della storia recente. Maria Eletta era ai nostri occhi una testimone vivente di ciò che raccontava. Ci appassionava la sua oratoria e la semplicità con cui descriveva, in prima persona, avvenimenti, amicizie e incontri, fatti curiosi e personaggi importanti, che avevamo studiato sui libri di storia!
Assecondando un nostro desiderio, fece richiesta al Presidente Scalfaro di incontrarci, il quale acconsentì volentieri. Era il 2003, gli Stati Uniti di Bush, con la complicità di molti governi occidentali, tra cui il nostro, attaccarono unilateralmente e senza mandato internazionale l'Iraq, con la scusa delle armi di distruzioni di massa. Scalfaro fu uno strenuo difensore della pace. Era per noi un mito, un personaggio da cui trarre ispirazione, non solo per aver traghettato l'Italia nel periodo di Tangentopoli e delle stragi mafiose, ma anche per il coraggio con cui si era battuto per la difesa della Costituzione e, in quell'anno, per le sue battaglie a favore del rispetto dell'art. 11. Al Senato fummo accolti come i "ragazzi di Maria Eletta". Denominazione che poi ci ha sempre accompagnato!
Quando nella primavera del 2004 si tenne a Lucca l'annuale Convegno regionale di Pastorale Giovanile delle Diocesi Toscane, dall'interessante titolo "I giovani, la politica, il bene comune. La politica è come l'amore: si può vivere senza?", noi "suoi ragazzi", alcuni dei quali impegnati anche in Diocesi, spingemmo per coinvolgerla. Fu ristampato il suo libro "Anche in politica cristiani esigenti", risalente al '97, con una nuova premessa, distribuito gratuitamente a tutti i partecipanti, e fu inserita nel programma dei lavori, come relatrice. Ne fu molto contenta, convinta qual era che la formazione civica sia compito imprescindibile anche della realtà ecclesiale.
E dopo qualche tempo, la resi partecipe della preparazione alla mia tesi di laurea, dedicata ad una pagina storica ancora poco conosciuta e non sufficientemente valorizzata: il contributo che i cattolici hanno dato alla Resistenza, in particolare a Lucca. Fu l'occasione anche per tratteggiare la figura di suo padre, Ferdinando Martini, fiero antifascista, primo sindaco di Lucca dopo la liberazione. Ne nacque così una lunga intervista autobiografica a Maria Eletta, ancora inedita, che toccò una serie svariata di argomenti: dalla Resistenza al suo ruolo come staffetta partigiana; dal rapporto con suo padre alla pesante eredità da questi ricevuta; fino ad arrivare ai lunghi anni del suo impegno di donna politica e parlamentare, toccando i principali avvenimenti storici che la videro protagonista, su tutti gli "interminabili" 54 giorni del rapimento e poi dell'uccisione di Aldo Moro, il suo principale maestro, che la segnarono per sempre.
Ripensare a Maria Eletta significa fare memoria dei tanti insegnamenti che ci ha lasciato, scomodi, senz'altro difficili e anche controcorrenti, rispetto ad un modo di fare politica che si è poi affermato negli ultimi decenni. Maria Eletta era a disagio nel vedere la degenerazione dei rapporti di forza e dell'uso strumentale del consenso e del potere, lo svilimento costante del Parlamento e delle regole del gioco, la delegittimazione pervicace delle principali Istituzioni e dell'avversario politico, la denigrazione pericolosa della magistratura, la trasformazione dei partiti in comitati elettorali.
Era la diffidenza di una donna delle Istituzioni, una donna che da staffetta partigiana aveva contribuito a cacciare la dittatura e che, poi, da politica e parlamentare, si era battuta per l'affermazione della democrazia e della pacifica convivenza civile, sempre con un occhio attento a chi aveva di meno, alle fasce sociali più deboli, alle categorie più svantaggiate. Era una sensibilità forte che sicuramente le derivava dalla sua fede "terribile", dalla profonda coscienza religiosa, una religiosità vissuta nell'interiorità, mai mostrata come un grimaldello, mai esibita, mai sbandierata. Una concezione religiosa profondamente laica, saldamente ancorata agli insegnamenti conciliari.
Soffriva nel vedere una Chiesa che, negli ultimi decenni, sembrava aver dimenticato il Concilio. Una Chiesa che aveva preferito la scorciatoia della "presenza" piuttosto che quella più nobile della "mediazione". Perché cristiani in politica, ci ricordava, non ha nulla a che vedere con l'integralismo. Una Chiesa che preferiva gli "atei devoti" ai "cattolici adulti", lei che non si stancava mai di ripeterci che non si fa politica "in nome", ma "a causa" della fede. Rimaneva esterefatta dinanzi a certi pronunciamenti delle gerarchie ecclesiastiche, tesi a condizionare pesantemente le scelte politiche e la vita del Parlamento, e ripensava a quando, molti anni prima, aveva tenuto per la Dc i rapporti con il mondo cattolico. "Le cose sono molto cambiate", ci diceva sconsolata. Ma, alzando le spalle, come era abituata a fare, ci invitava a non darvi troppo peso, ad andare avanti, a non arrenderci, a non farci condizionare troppo dal contingente.
Credeva profondamente che solo una lettura sapienziale dei "segni dei tempi" fosse l'unico mezzo con cui i cristiani, ieri come oggi, si potessero accreditare politicamente sapendo di dare senso al sogno della città di tutti. Assisteva con preoccupazione al formarsi di una nuova classe dirigente catapultata in ruoli chiave senza alcuna formazione. Era la degenerazione della politica, della Politica con la P maiuscola, intesa come amore, quella in cui aveva creduto e per cui si era battuta, quella a cui aveva dedicato la sua intera vita. Quella politica che Paolo VI, con grande lungimiranza, aveva osato definire la "più alta forma della carità" e che don Sturzo considerava il "più grande atto d'amore per la collettività", un "dovere per il cittadino". Viveva con angoscia il continuo tentativo di svilimento della Carta Costituzionale, a cui si era sempre ancorata durante tutta l'attività politica. Una sorta di "Bibbia laica", la definiva, che le faceva da faro, insieme al Vangelo. E, in occasione del Referendum del 2006, si batté per l'abrogazione delle proposte di modifica, che riteneva un "colpo al cuore" alla democrazia e al bilanciamento dei poteri.
Invitava noi giovani a non tirarci indietro, ad assumerci quella parte di responsabilità che lei, come molti della sua generazione, avevano fatto, al punto estremo di poter rischiare la vita. Era un invito e anche un monito. Uno sprone all'azione. Ricordandoci che se uno non fa politica, il rischio è sempre quello di essere sottomesso a quella degli altri. Perché, ci diceva, possono cambiare tante cose, ma si troverà sempre un sindaco, un parlamentare, un ministro o un "premier" (sorridendo all'inglesizzazione dei termini) che impone la "sua" di politica. E ripensando alla sua carriera, alla sua storia, ci suggeriva di cercare sempre Maestri-Amici, Maestri-Testimoni, che fossero illuminanti per la vita personale e per l'impegno civile. Come lo erano stati per lei suo padre, Aldo Moro, il Vescovo Bartoletti, don Filippo Franceschi. In essi diceva di aver trovato dei punti di riferimento alti e costanti ad una domanda per lei divenuta esistenziale e che esigeva una risposta: «Perché un cristiano fa politica?». «Se troverete Maestri-Amici come quelli che io ricordo, ricchi di intelligenza e di cuore - ci scrisse un giorno - vi renderete conto come sarete in grado di superare lo spazio e il tempo, per raggiungere le vie misteriose dello Spirito. Perché è questo ciò che conta: ieri come oggi, penso anche come domani».
E per noi che l'abbiamo conosciuta e frequentata, Maria Eletta è stata davvero un punto di riferimento insostituibile, una guida saggia e costante, un vero e proprio Maestro-Testimone. Di quelli rari, importanti, che a volte, difficilmente, si incontrano nei propri cammini personali. E di questo ne siamo infinitamente grati! Convinti che è solo traendo ispirazione dai suoi numerosi insegnamenti, solo rimanendo fedeli alla pesante eredità che ci lascia, che potremmo ricordarla, farne memoria ogni giorno, nella quotidianità della vita.
Glielo dobbiamo. A lei, a chi verrà dopo di noi, ai nostri figli. Perché è questo che avrebbe voluto: non un pianto triste, non un ricordo nostalgico, non un lamento. Ma uno sprone ad andare avanti, a guardare con ottimismo al futuro, ad assumerci anche noi, con coraggio, coerenza, passione, umiltà, mitezza, quella parte di responsabilità a cui lei, con generosità, aveva dedicato l'intera vita.

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Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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