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21/11/2011

«Da Berlusconi diktat preoccupante. Servono rigore ed equità»
di Simone Collini - da L'Unità


«Il sì condizionato a Monti è quasi più pericoloso di un no». A Rosy Bindi non piace il modo in cui si sta muovendo Silvio Berlusconi. Quel «posso staccare la spina quando voglio» poi smentito, ora il veto alla patrimoniale e la difesa del Porcellum veicolati attraverso il Corriere della Sera. «Una grande menzogna in forma di intervista», dice la presidente del Pd scuotendo la testa.

Vuole continuare a tenere alti i toni, onorevole Bindi?
«No, ma non si può accettare che Berlusconi si metta l'abito da statista e racconti una realtà che non c'è. Si può anche sospendere la lettura della storia di questi anni, sapendo che chi ci rimette siamo noi. Ma non possiamo permettere che Berlusconi rilegga la storia. Non possiamo tacere sul fatto che il suo sarebbe stato un gesto di generosità quando è certificato che non aveva più la maggioranza, non possiamo dimenticare che questi sono gli anni delle istituzioni attaccate, delle figuracce ai vertici internazionali, dell'indebolimento dell'Europa, della depressione della crescita, dell'aumento del debito pubblico e delle disuguaglianze».

Guardando al futuro, che dice del no alla patrimoniale?
«Che un sostegno condizionato al governo è molto preoccupante. Tutti noi che abbiamo dato la fiducia al nuovo esecutivo non abbiamo intenzione di rinunciare alle nostre idee e proposte. Il nostro sostegno non è rinunciatario, svolgeremo un ruolo attivo in Parlamento. Però porre condizioni in maniera stringente come fa Berlusconi non va bene».

Per voi la patrimoniale deve esserci?
«Noi abbiamo dato la fiducia su tre parole: rigore, crescita, equità. Se ci si accinge a fare interventi sul mercato del lavoro e sul welfare, in particolare sulle pensioni, se c'è una delega fiscale e assistenziale lasciata in eredità dal governo uscente di 20 miliardi di euro che riguarderà le fasce più deboli e i ceti medi del Paese, non possono non esserci interventi che vadano a colpire le grandi ricchezze, secondo il criterio della progressività sancito dalla Costituzione. Chi ha di più deve dare di più».

Faceva riferimento a interventi sul mercato del lavoro e sulle pensioni: voi cosa farete se il governo metterà mano a quelle di anzianità o se toccherà l'articolo 18?
«Intanto non vedo perché si debba partire dalle proposte di Sacconi. Si ricomincia da capo. E si riparte dall'accordo del 28 giugno. Adesso abbiamo un altro governo e un altro ministro del Welfare».

Avete anche una lettera della Bce che indica precisi obiettivi.
«La lettera della Bce non può essere ignorata, la traduzione che ne ha dato il governo Berlusconi sì. Monti nel suo discorso programmatico ha fatto riferimento al dialogo sociale. Tutte le scelte devono essere compiute ritrovando l'unità del mondo sindacale, non giocando a dividere come è stato fatto in questi anni. Andrà chiesto a tutti di sedersi al tavolo, e nessuno si dovrà rifiutare. E poi bisognerà valutare non solo l'effetto nei bilanci ma l'impatto sociale delle scelte che andremo a fare, perché dall'impoverimento del Paese non viene la crescita».

Cosa si aspetta da questo governo?
«Che nel prossimo anno e mezzo non solo approvi le riforme volte a raggiungere gli obiettivi che anche la Bce ci ha indicato, ma che rilanci la dimensione comunitaria dell'Europa, che ponga al G20 la questione di come si aggrediscono le cause della crisi. Non si può solo intervenire sugli effetti, bisogna cominciare a ragionare su come correggere il sistema, come cambiare il nostro modello di sviluppo. Il rischio altrimenti è che si continui a intervenire sui lavoratori, i pensionati, i giovani, le famiglie, e solo alla fine ci si renderà conto che non ci saranno sacrifici che riusciranno a pagare i prezzi della speculazione. Ormai è chiaro, dopo quanto avvenuto in Grecia, Spagna, da noi e tra un po' anche in Francia, che la crisi è endemica e sotto attacco è l'intera Europa. E allora si devono individuare le regole per fermare la speculazione mondiale. Il riformismo ha le risorse per farlo».

Voi sarete fuori dal governo...
«Siamo in Parlamento, che va rilanciato nella sua centralità. Autonomia e indipendenza del governo, ma primato della politica. Le Camere non dovranno essere solo la sede in cui si approvano le leggi. Dovrà esserci anche una fase ascendente, un'elaborazione condivisa delle proposte del governo».

È possibile, in questo Parlamento, approvare una riforma istituzionale?
«Sulla necessità di diminuire il numero dei parlamentari e di superare il bicameralismo perfetto siamo tutti d'accordo».

Ottimista anche su un cambio della legge elettorale? Berlusconi dice che va bene il Porcellum...
«Berlusconi non può porre condizioni. Primo, perché c'è una volontà molto diffusa in Parlamento di mettere mano alla legge elettorale. E secondo, perché c'è in campo un referendum. E ritengo che dovremmo affrontare la questione già nei prossimi giorni».

La nascita del nuovo governo segna, per il ministro Ornaghi, «il risveglio dei cattolici in politica»: condivide, lei che è in un partito di credenti e non credenti?
«Con una battuta direi che noi cattolici, dentro il Pd, non abbiamo mai dormito. Ovviamente non possiamo che salutare positivamente il fatto che nel nuovo governo almeno quattro personalità siano riconducibili a un preciso mondo. Ma il contributo dei cattolici nella vita del Paese è contribuire a rendere europeo il bipolarismo italiano, non costruirsi un sistema politico su misura. I cattolici fanno da lievito, ma la pasta è questa. Il bipolarismo italiano ha bisogno di diventare normale, europeo, di abbandonare le esibizioni muscolari e la continua rissa, di smetterla di basarsi su coalizione artificiose. Ma nessuno pensi che i cattolici non debbano misurarsi con la regola dell'alternanza in democrazia e sulla scelta di campo anche in questa nuova stagione. Questo è e sarà inevitabile».

Potrebbero esserci ripercussioni nel Pd, se ci dovesse essere una scomposizione e ricomposizione del sistema politico?
«Il Pd in questo passaggio ha dimostrato grande unità e senso di responsabilità e ora non può che crescere sostenendo Monti».

Sempre convinti che non far entrare politici nel governo sia stata la scelta giusta?
«Assolutamente. È il modo migliore per far arrivare al 2013 l'esecutivo. Qui non c'è una maggioranza che sostiene un governo, c'è un governo sostenuto in autonomia da forze politiche che mantengono la loro identità e i loro cantieri aperti. E noi dovremo continuare a lavorare al Nuovo Ulivo e proseguire il dialogo con il Terzo polo».

 

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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

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