
Se di qui a poco dovesse insediarsi il governo Monti, con il nostro sostegno e la nostra partecipazione, dovremo avere cura di motivarlo e di comunicarlo bene. Lo osservo pensando ai nostri elettori e persino a me stesso. Confesso che non era nei miei programmi e tantomeno nelle mie aspirazioni dare sostegno e votare la fiducia a un governo nel quale, plausibilmente, figureranno esponenti del Pdl che, pro quota, portano la responsabilità della condizione in cui versa il Paese. E che, appunto, ci costringe a dare il nostro assenso e la nostra collaborazione a un governo figlio di uno stato di eccezione. Dunque dobbiamo convincere noi stessi e gli altri, a cominciare da chi ci è vicino. Come?
In primo luogo notando che, senza la nostra dichiarata disponibilità a un governo di salvezza nazionale, non si sarebbero prodotte defezioni nella sua maggioranza e dunque Berlusconi non sarebbe stato sfiduciato. Una precondizione per ricostruire il Paese. Un obiettivo che abbiamo inseguito da gran tempo, che non abbiamo neppure avuto modo di salutare come meritava (come festeggiare dentro un'angosciosa emergenza?), ma che dobbiamo mettere a verbale come un grande risultato. Un risultato di cui va dato merito a chi ha guidato il Pd, in sede politica e parlamentare, soprattutto grazie alla strategia concordata tra tutte le forze di opposizione. Non un traguardo scontato, a monte del quale sta un'azione paziente e tenace.
In secondo luogo, marcando la portata davvero drammatica della crisi. Abbiamo spesso ragionato tra noi della cosiddetta vocazione maggioritaria del Pd come suo tratto genetico, magari dividendoci nell'interpretazione concettuale e pratica di essa. Ma ancora più a monte della vocazione maggioritaria stanno la funzione nazionale (parola gramsciana, cara ad Alfredo Reichlin) e la cultura di governo che figurano nel dna del Pd. In parole povere, la cura per il bene comune cui subordinare gli interessi di parte. Abbiamo parlato spesso e giustamente di senso di responsabilità. Diciamolo con orgoglio: per il Pd e segnatamente per il suo leader Bersani è qualcosa di più della responsabilità, si tratta di generosità. I pronostici ci danno concordemente vincenti, con una premiership largamente probabile. Tra i vari attori in campo il Pd è indiscutibilmente quello che paga il prezzo più alto quanto a interesse di partito.
In terzo luogo, consideriamo il profilo programmatico, l'agenda del futuro governo e la sua composizione. La nostra partecipazione non sarà a qualsiasi prezzo. Quantomeno, in negativo, ci riserviamo dei no risoluti. A personaggi impresentabili o improbabili nell'esecutivo. C'è un limite alla digeribilità di un governo pur dettato da una congiuntura eccezionale. Faccio due soli esempi: l'attuale ministro applicato con accanimento alla divisione delle forze del lavoro e quello che si esercita in grevi provocazioni umiliando i pubblici dipendenti. Circa i contenuti, di sicuro non avremo leggi ad personam e ad aziendam, nessuno sbrego all'ordinamento giudiziario, nessun bavaglio all'informazione, un risanamento accompagnato da misure per la crescita e dal vincolo dell'equità sociale. Intendiamoci: non sarà questo il governo della compiuta alternativa. Quello verrà, confidiamo, dopo il prossimo passaggio elettorale. Con un altro programma e un altro premier. Ma già dentro questa transizione concordata noi possiamo e dobbiamo traguardare l'alternativa, porne le premesse.
Quarto, decisivo elemento è la politica estera e, segnatamente, il rapporto con l'Europa. Il punto più acuto della crisi, originato anche dal deragliamento dei governi guidati da Berlusconi dalla storica tradizione europeista italiana. Monti sotto questo profilo rappresenta una garanzia. Egli sul punto, qualificante l'identità e la vocazione del Pd, non è equidistante. Potremo magari discutere su "quale Europa", ma noi e lui vogliamo un di più di Europa e di Europa politica. E comunque a Bruxelles ci andremo con dignità e con la schiena dritta, senza più imbarazzo.
Infine, le riforme politiche, la riduzione dei parlamentari e, più in genere, dei costi della macchina politica. Naturalmente penso anche alla legge elettorale e allo stimolo del referendum che, anche se ammesso dalla Consulta, sarebbe saltato in caso di accelerazione verso elezioni. Ecco un argomento forte, ma anche un preciso impegno conseguente a cestinare la "porcata". Alle preoccupazioni di chi è giustamente esigente, dopo anni di umiliante degenerazione dell'etica pubblica e di una politica obesa, abbiamo modo di dimostrare che facciamo sul serio. Questo capitolo non potrà non risultare qualificante nel programma di governo.
Detto tutto questo resta da dire una parola su come inscrivere questo passaggio dentro la nostra visione del sistema politico e dei suoi sviluppi. Casini è stato ed è ora un alleato prezioso. Ma già comincia ad allargarsi nell'interpreazione, proclamando la morte del bipolarismo. Per noi non è così. Trattasi di un governo di tregua e di transizione verso un bipolarismo alleggerito dalla oggettiva anomalia berlusconiana. Esaurita questa stagione di riforme economiche e politiche, dentro un panorama che certo influirà su tutti i suoi attori, su basi nuove, tuttavia si dovrà riprendere il cammino di una democrazia sanamente competitiva e dell'alternanza lungo l'asse destra-sinistra, che, a dispetto di certe teorie un po' snob, non è affatto privo di significato. Cooperiamo dunque tra forze politicamente diverse e persino alternative, senza tuttavia consegnarci a visioni e prospettive strategiche che non sono le nostre.


Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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