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4/11/2011

In nome di Dio, vattene!
da Financial Times


Vai al sito del Financial TimesIn un summit del G20 che ha concluso molto meno di ciò di cui c'era bisogno, i leader più potenti del mondo si sono rivelati impotenti rispetto alle manovre di due premier europei: George Papandreou e Silvio Berlusconi. Colpiscono le somiglianze tra i due primi ministri: entrambi sono sostenuti da una risicata e traballante maggioranza parlamentare ed entrambi bisticciano con i propri ministri delle Finanze. Cosa ancora più importante, hanno entrambi una pericolosa tendenza a rinnegare le loro promesse in un momento in cui i mercati sono preoccupati per lo stato delle finanze pubbliche dei loro Paesi. C'è, comunque, una differenza importante: avendo raggiunto quota 1.900 miliardi di euro, il debito pubblico dell'Italia è così alto che il rischio che possa destabilizzare l'economia mondiale è molto superiore rispetto a quello di Atene.

La buona notizia, naturalmente, è che l'Italia è ancora un Paese solvente. Il tasso di interesse suo suo debito, però, sta diventando sempre meno sostenibile. Durante l'estate lo spread tra i bond italiani e tedeschi a 10 anni è raddoppiato. Ieri ha raggiunto la quota record per l'era dell'euro di 463 punti base e probabilmente sarebbe stata più alta se la Banca centrale europea non avesse acquistato bond italiani. Anche se Roma può sostenere alti tassi di interesse per un limitato periodo di tempo, questo processo deve essere bloccato prima che diventi insostenibile. Il prossimo anno l'Italia deve rifinanziare un debito pari a circa 300 miliardi di euro. La crisi dell'eurozona ha mostrato fin troppo bene che, una volta che lo spread aumenta, è estremamente difficile ridurlo.

L'aspetto più preoccupante è rappresentato dal fatto che tutto ciò sta avvenendo anche se l'Italia ha accettato formalmente le riforme strutturali raccomandate dall'Europa e dal G20. Il fatto che il Fondo Monetario Internazionale da ora in avanti monitorerà i progressi di Roma può essere solo una buona cosa. Questi rischi, però, continueranno a rappresentare una minaccia fino a quando il Paese sarà guidato dal suo leader attuale. Non avendo realizzato riforme nei due decenni che ha trascorso in politica, a Berlusconi manca la credibilità di poter promuovere un cambiamento significativo.

Sarebbe da ingenui pensare che, quando Berlusconi se ne andrà, l'Italia recupererà istantaneamente la piena fiducia dei mercati. Sul futuro politico del Paese restano delle nuvole e le riforme strutturali richiederanno del tempo prima di incidere sui tassi di crescita. Un cambio di leadership, tuttavia, è imperativo. Un nuovo primo ministro, impegnato a realizzare l'agenda delle riforme, rassicurerebbe i mercati, che attendono disperatamente un piano credibile che metta fine alla corsa del quarto debito più alto del mondo. Ciò renderebbe più facile alla Banca centrale europea proseguire il suo piano di acquisto dei bond, perché sarebbe meno probabile che l'Italia rinneghi le sue promesse.

Dopo due decenni di politica-spettacolo inefficace, le uniche parole da dire a Berlusconi rieccheggiano quelle usate una volta da Oliver Cromwell. In nome di Dio, dell'Italia e dell'Europa, vattene!

 




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31 Maggio 2015
Postato da Redazione

Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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