
Programmaticamente voglio sottrarmi allo sport, largamente praticato, di tirare dalla mia parte le riflessioni e il confronto che, a Todi, hanno impegnato una rappresentanza qualificata del laicato cattolico organizzato. Mi sembra decisamente più appropriato un atteggiamento di rispettoso ascolto e, semmai, di impegno a interrogare me stessa e il mio partito in rapporto alle domande e alle sollecitazioni che quell'universo associativo, pur a me caro e familiare, indirizza a tutti e a ciascuno. E tanto più a chi, con umiltà ma con passione, in quel mondo, affonda le proprie radici e a un'ispirazione cristiana cerca di informare la propria azione politica e i propri comportamenti personali.
Esclusa espressamente l'ipotesi di dare vita a un partito cattolico o di avanzare un'ipoteca su uno o l'altro degli schieramenti politici in campo, mi pare di avere intuito un'ambizione più grande in quanto non schiacciata sugli assetti politici contingenti. La fisso schematicamente per punti. Primo: una domanda, di più, una disponibilità verso la partecipazione politica. Come usa dire, un nuovo protagonismo politico dei cattolici. Disponibilità doppiamente apprezzabile: sia perché attesta una più avvertita consapevolezza che il vivace attivismo sociale dei cattolici italiani universalmente riconosciuto esige per sua natura una proiezione dentro la sfera politica e istituzionale; sia perché, di fronte dell'allarmante degrado etico e civile, una iniezione di energie morali e sociali quali quelle raccolte in quell'universo associativo rappresenta una benedizione.
Secondo: un sì alla politica, ma non a una politica qualsiasi. Piuttosto quella condensata nel bel titolo di Todi: "buona politica" tesa al "bene comune". Espressioni da prendere sul serio. Buona significa molte cose: pulita, competente, lungimirante, generosa. Così pure bene comune non è formula vuota. Bastino due esempi: l'opposto di una politica ostaggio di interessi particolari, aziendali, corporativi; e che svolga in positivo il tema dei "beni comuni", quelli che non possono essere consegnati alla logica del mero profitto e sui quali, in occasione dei recenti referendum, la base cattolica soprattutto giovanile ha confermato una viva sensibilità.
Terzo: la più specifica consapevolezza della chiusura di un ciclo (e non solo di un governo) e, conseguentemente, della discontinuità e della svolta complessiva che essa comporta. Una stagione di ricostruzione di ampio respiro: sul piano economico, sociale, civile e democratico. Una diagnosi e una sfida che chiama in causa un po' tutti: attori politici, ma anche agenzie culturali ed educative.
Quarto: la portata drammatica della questione sociale (famiglie, disoccupazione, precarietà, disuguaglianze, Mezzogiorno, povertà) cui da sempre la comunità cristiana è singolarmente sensibile: sia per la sua partecipazione intima e viva alla condizione popolare e, in primo luogo, della povera gente; sia perché forgiata alla scuola delle grandi encicliche sociali che, a partire dalla Rerum novarum, hanno fatto perno sulla questione operaia e sociale.
Quinto: come ha notato Agostino Giovagnoli, a Todi si è discusso di bipolarismo con accenti diversi. Taluni con il proposito di metterlo in discussione, altri di riformarlo e migliorarlo. Ma un po' tutti convenendo sul dovere di scongiurare il cosiddetto bipolarismo etico-religioso. Cioè l'involuzione verso un assetto del sistema politico che opponga un fronte laicista a un fronte cattolico inevitabilmente incline al clericalismo. Una sorta di ricaduta nelle spire di una nuova e anacronistica "questione romana". Nociva per la Chiesa e per la democrazia italiana. E in controtendenza rispetto alla lezione della Costituzione e del Concilio.
Sesto: l'autonomia responsabile del laicato cattolico e il legittimo pluralismo degli orientamenti politici. Sarò sincera: alla vigilia, sul questo punto, era lecito nutrire qualche preoccupazione. Un certo impegno delle gerarchie e le attese esterne di una forzosa convergenza verso un "partito cattolico" potevano alimentare la preoccupazione che si appannassero le limpide distinzioni conciliari tra Chiesa e comunità politica e quelle, corrispondenti, tra vocazione-responsabilità dei pastori (l'evangelizzazione) e vocazione-responsabilità dei laici cristiani (l'edificazione della polis). Mi pare che tali preoccupazioni, allo stato, siano state fugate. Non si sono registrati cortocircuiti e forzature, si è resistito alla tentazione di sostituirsi agli attori politici, la feconda pluralità delle sensibilità e degli orientamenti politici non è stata mortificata.
A questo punto potrei registrare, con compiacimento, alcune convergenze con il mio punto di vista politico. A cominciare dall'urgenza di liquidare il governo in carica, di dare vita a un governo di responsabilità nazionale che fronteggi l'emergenza, di avviare un'azione di ricostruzione di lunga lena. Ma, come ho detto, voglio tenere fede al proposito semmai di ascoltare e di mettere in discussione me stessa e il mio partito. Mi limito a due questioni che meritano di essere tematizzate.
La prima è quella dell'apertura del sistema politico e dei partiti, a cominciare dal mio, a energie giovani e fresche, a quella nuova generazione che sta fuori dai partiti e a cui i partiti dovrebbero dischiudere le loro porte. Un signor problema che non può essere esorcizzato. Anche perché altri, che nella politica ci stanno fin troppo dentro, lo pongono in termini banalmente giovanilisti e nel segno di un protagonismo niente affatto nuovo e privo del segno della gratuità.
La seconda questione è quella della saldatura tra etica della vita ed etica sociale. Questione complessa, che non può essere risolta bypassando il pluralismo delle concezioni etiche e l'arte della mediazione che è immanente all'azione politica. Questione che evoca una reciprocità tra i due poli («La libertà dal giogo della fame è la prima e concreta manifestazione del diritto alla vita pur solennemente proclamato» così Papa Benedetto un paio di giorni fa in un messaggio alla Fao). Ma è questione che ci interroga. Che domanda a noi del Pd, mi esprimo schematicamente, di inverare la nostra scommessa costitutiva e costituente: quella di dare vita a un partito plurale di laici credenti, non credenti e diversamente credenti, che tuttavia non rinunciano al compito difficile ma stimolante di ricercare ed elaborare insieme una identità politica che faccia perno su un umanesimo universale, alla cui radici sta anche il cristianesimo e che sappia interpretare e praticare una laicità positiva o dell'incontro. Una laicità inclusiva, programmaticamente recettiva del contributo etico e di legami sociali che sortiscono dalle esperienze religiose (al plurale).
Per il Pd è un preciso impegno, ne va della sua stessa ragione sociale. Ma è un bene e un traguardo per tutte le forze politiche. È in gioco la laicità delle istituzioni e la qualità etica della nostra democrazia. Mi sembra che il modo giusto di guardare a Todi debba avere questo respiro, vincendo sospetti, diffidenze e soprattutto l'illusoria pretesa di metterci il cappello.

Con tutto il rispetto...
Lasciato da Lupo il giorno 20 Ottobre 2011 alle 13:43Rosy - la politica - la chiesa
Lasciato da Fernando Fedele il giorno 19 Ottobre 2011 alle 16:46


Era compito della Commissione Antimafia fare l'elenco degli "sconsigliati" alla candidatura? Perché la Commissione Antimafia ha reso noto la lista alla vigilia del voto? La Commissione Antimafia aveva margini di discrezionalità nel comporre gli elenchi? Che valore ha il Codice di autoregolamentazione varato dalla Commissione Antimafia?
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